martedì 25 novembre 2014

Diamo un senso al 25 Novembre

Oggi, 25 novembre si celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ovunque sono state organizzate diverse iniziative a ricordo dei soprusi e delle violenze che le donne subiscono in ogni parte del mondo. 179 sono state le donne uccise nel corso dello scorso anno in Italia, e molti di questi delitti sono stati, e continuano ad essere, compiuti in un contesto familiare.

Questa giornata è stata istituita nel 1999 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per ricordare l'omicidio delle tre sorelle Mirabal, uccise il 25 novembre del 1960 per essersi opposte al regime di Rafael Leónidas Trujillo dittatore dell’odierna Repubblica Dominicana, e ha come obiettivo quello di ricordare e sensibilizzare la popolazione e gli organi competenti su quello che ancora c'è da fare per la salvaguardia dei diritti delle donne. Ma serve davvero a qualcosa questa giornata? Sono utili tutte gli eventi che sono stati organizzati? No, No e ancora una volta NO!

Non serve a nulla se la donna, innanzitutto, non si rende conto del valore che possiede e non comprende che la subordinazione che da sempre l'ha caratterizzata non è un aspetto imprescindibile della vita, che il dominio maschile di cui è vittima non fa parte della sua natura. Noi donne dobbiamo partire da noi stesse, se non facciamo questo aumentare ogni anno gli eventi in occasione del 25 novembre contro il femminicidio non serve a niente.
Per combattere la violenza servono tante cose, ma la più importante è che noi donne, a tutte le età, sappiamo di non essere insignificanti, deboli, oggetti. Dobbiamo essere convinte del nostro valore , convinte che le nostre lotte servono, che non sono tempo sprecato, parole al vento. La nostra storia è ricca di donne che hanno cambiato le cose, donne da cui prendere esempio e coraggio, figure femminili a cui aggrapparci per credere ancora in qualcosa. Ma per raggiungere questo importante obiettivo è da lì che dobbiamo ripartire, dalle scuole, dall'educazione. Come afferma la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli "La battaglia contro la violenza alle donne comincia sui banchi di scuola, con un insegnamento che la smetta di tramandare luoghi comuni che inchiodano maschi e femmine a stereotipi, che ignora quanto l'altra metà del cielo ha fatto in tutti campi, dalla storia alle letteratura passando per l'astronomia".
Se l'impegno contro la violenza sulle donne si riduce alla conta delle uccise, a selfie auto-celebrativi per dire basta, ma intanto l’educazione di genere nelle scuole continua a mancare, non cambierà assolutamente nulla, la donna continuerà a sentirsi indifesa e inferiore e l'uomo potente e proprietario delle loro donne. Dobbiamo educare le ragazze ad avere fiducia in se stesse e avere il coraggio di dire NO ad una relazione che potrebbe metterle in pericolo, fare capire loro che se rimaniamo con un uomo che ci picchia e che ci tormenta psicologicamente siamo colpevoli quanto lui, diveniamo complici del nostro stesso dolore, e che il nostro corpo, per quanto attraente possa essere, non è uno strumento per avere successo. Allo stesso modo dobbiamo educare i ragazzi a non essere arroganti e viziati, che la donna non è un loro possesso, non è un buco per la loro soddisfazione, e che non è la quantità di donne possedute che li renderà VERI UOMINI. La violenza sulle donne di tutto il mondo si può prevenire e combattere solo insegnando ai bambini il rispetto. 

Ed è per questo che voglio, per non rendere questa giornata del tutto insignificante, aiutare a diffondere la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi di sms solidale a sostegno dei percorsi di educazione alle differenze di genere e lotta a ogni forma di discriminazione, bullismo nelle scuole lanciata da FARE X BENE ONLUS. Testimonial della campagna è Valentina Pitzalis (qui la sua storia), giovane donna, che a ventisette anni, il 17 aprile 2011, è stata cosparsa di cherosene da suo marito che le ha dato fuoco, morendo lui stesso tra le fiamme. 
Lo spot tv sarà presente nelle reti Mediaset dal 23 al 30 novembre, mentre la campagna di sms solidale, al numero 45594, sarà attiva dal 17 al 30 novembre e si potrà, quindi, inviare un sms solidale del valore di 2 euro da cellulari personali e 2 o 5 euro con chiamata da rete fissa. 



sabato 8 marzo 2014

Accoglienza Donna

Questa mattina, in occasione della “Giornata Internazionale della Donna”, si è tenuta a Palermo presso la sala conferenze della Caritas diocesana, la conferenza “Accoglienza donna. La salute nell'immigrazione al femminile”. L’iniziativa è stata promossa dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus e dalla Caritas diocesana di Palermo ed è stata anche l’occasione per la presentazione del dossier sulla donna immigrata in Sicilia. Alla fine dell'evento sono stati consegnati 2690 confezioni di farmaci per le donne immigrate che vivono nell'isola, donati dall'azienda Zambon group, dagli enti come Caritas Palermo, Centro Astalli, Missione speranza e Carità, centro Santa Chiara e progetto Maddalena impegnati nell'assistenza alle donne immigrate in Sicilia.
Come tutti/e ormai sappiamo la Sicilia è terra di approdo per immigrati provenienti da ogni parte del mondo: dai Paesi africani della costa nord-orientale (Tunisia, Somalia, Eritrea, Abissinia, Egitto) e di quella atlantica (Nigeria, Camerun, Ghana, Senegal, Marocco) a quelli del Medio Oriente, a quelli asiatici (Sri Lanka, Cina, India, Afghanistan, Pakistan, Filippine, Indonesia, ecc.). Lampedusa, in  particolare viene dagli immigrati definita come "la porta d'Europa", terra di rifugio e conforto. Come noto la nostra Sicilia non versa in condizioni economiche favorevoli infatti, come si evince dal comunicato stampa, l'incidenza della povertà relativa è pari al 29,6% delle famiglie. Gli stranieri residenti in Sicilia sono circa 141.000 di cui 73.000 sono donne. La situazione è resa ancora più drammatica dai continui sbarchi di migranti. Tra il 2011 e il 2013 sono sbarcate nell'isola oltre 68.000 persone e il 10,4% degli immigrati sbarcati sono donne. Le donne che vengono assistite dai sessantotto enti partecipanti alla rete del Banco Farmaceutico sono 12.745 pari al 48, 4% del totale degli utenti e a  Palermo le donne aiutate dagli enti caritativi sono 5.808. Il mondo delle donne immigrate presenta tantissime problematiche a noi per lo più ignote. Si tratta di donne che non sanno minimamente che cosa sia la prevenzione e che sono costrette, soprattutto a causa della povertà in cui si trovano a vivere, a preoccuparsi di altro senza potere avere cura di sé stesse e della propria salute. Le donne immigrate che arrivano in Sicilia non portano alcuna malattia esotica anzi al contrario sono spesso affette dalle patologie più comuni, quali diabete, ipertensione, disturbi ginecologici e purtroppo malattie date dal "disagio sociale" quale la depressione.
Inoltre sono, purtroppo, sempre più in crescita le "malattie sociali" determinate dalla povertà e soprattutto dalla, già sopracitata, mancanza di prevenzione da parte di queste donne. Ecco perché uno degli obiettivi primari dei centri di ascolto è quello di dare un supporto concreto a donne e uomini che arrivano in Sicilia alla ricerca di un nuovo futuro, agendo concretamente acquistando farmaci e tutto ciò che serve per sostenere quotidianamente il diritto alla salute di queste persone, organizzando incontri di educazione alla salute affinché i migranti possano prendere nelle loro mani la propria salute, fornendo metodi contraccettivi e soprattutto seguendo le donne durante e dopo la gravidanza. E' inoltre di fondamentale importanza aiutare le donne in dolce attesa non solo a tenere il/la bambino/a ma soprattutto a mantenerlo dopo.
"La Fondazione Banco Farmaceutico - ha spiegato Giacomo Rondello, delegato per Palermo - è impegnata in prima linea insieme alla Caritas per il contrasto alla povertà sanitaria e per garantire le giuste cure a chi non può permetterselo. Per questo la donazione della Zambon di medicinali per le donne immigrate è un segno importante di come attraverso la solidarietà si possa dare una risposta concreta alle nuove emergenze sociali"
In una giornata come quella dell' 8 Marzo, giornata di profonda riflessione, credo che sia stato importantissimo affrontare questo delicato argomento, per ricordare che il diritto alla vita va sempre preservato e che se la salute è un diritto allora è un dovere del servizio sanitario pubblico prenderne carico.
Non dobbiamo dimenticare i tanti uomini e donne che arrivano in Sicilia nella speranza di trovare un poco di solidarietà e di vicinanza sincera perché le voci di queste persone senza voci, siamo noi! 























Per terminare consiglio vivamente la visione di questo breve video Realizzato dall'Azienda sanitaria provinciale di Palermo, a cura di Nino Randazzo.



lunedì 25 novembre 2013

25 Novembre: Le donne cambiano la storia, cambiamo i libri di storia

Oggi 25 Novembre, come ogni anno da quando nel 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite designò questa data come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, in tutto il mondo sono state organizzate manifestazioni, fiaccolate, dibattiti, mostre fotografiche ed eventi di ogni sorta per sensibilizzare l’opinione pubblica e dire di NO alla violenza sulla donne, che è e rimane una piaga che ancora la società non è riuscita a sanare. Oggi però dalla violenza si è passati al femminicidio e dalla vergogna sociale della donne alla spettacolarizzazione del fatto che ben 79 donne sono morte nel 2013.
Ma la violenza sulle donne non è una questione che riguarda solo le donne, è e deve essere un problema che riguarda tutti e soprattutto gli uomini e fin quando ognuno di noi non prenderà una posizione ferma contro questa violenza anche giornate importanti come il 25 Novembre o l'8 Marzo o tante altre ancora, verranno svuotate di qualsiasi significato; non avranno più valore se i mass media continueranno a ridicolizzare e "giustificare" gli ormai troppi femminicidi chiamandoli "delitto passionale" o "raptus di follia". Perderà tutto di significato se continueremo a fare sentire sole le donne maltrattate. Ecco perché in questa giornata così importante e a cui io ancora credo fermamente ho accolto con grande gioia la petizione lanciata dalla scrittrice e giornalista Mila Spicola per ottenere l’inserimento di Franca Viola, donna coraggio, nei libri di storia come la prima donna che ebbe il coraggio di denunciare un abuso sessuale da parte di un uomo. 




A 18 anni venne sequestrata e violentata per più giorni da Filippo Melodia, suo spasimante sempre respinto, il quale probabilmente contava anche sulla clausola del matrimonio riparatore. Franca non accettò il matrimonio ma denunciò il suo aggressore per sequestro di persona. Malgrado le intimidazioni alla famiglia di Franca quest'ultimo fu condannato. L’esempio di Franca Viola potrebbe aprire gli occhi a quante vivono o hanno vissuto un'esperienza così devastante. Ecco perché è di fondamentale importanza inserirla nei libri di storia ancora carichi di cultura maschilista. Il contributo femminile è ancora troppo poco preso in considerazione, siamo abituate ad una tradizione scritta da uomini per soli uomini: la scuola "parla al maschile, la storia è scritta al maschile. Proviamo a colmare questa assenza e proviamo a dare agli studenti e alle studentesse quel qualcosa che manca nella loro formazione e che la scuola non può o non vuole dare. Sono convinta che proprio la conoscenza di queste donne (passate e presenti) potrebbero cambiare il modo di pensare di molte donne e molti uomini. 
Qui di seguito inserirò il link che vi manderà direttamente alla petizione.
Facciamo in modo che il 25 Novembre sia ogni giorno!

lunedì 24 giugno 2013

Il Gay Pride di Palermo.


Che sta accadendo? Cammini per Palermo e molte vie sono chiuse, senza neanche una macchina. Polizia, vigili del fuoco, ambulanze. In lontananza senti urla e grida. Per uno che non lo sa e che vede troppi film horror probabilmente stara’ pensando che sia arrivata la tanto temuta apocalisse zombie, ma poi tutto cambia. Quelle urla e quelle voci sono di felicita’, di allegria. Cominci a sentire musica. La gente si affaccia dai palazzi, si butta per le strade, aspettando. Ed eccolo che arriva.

No, non e’ un’orda di zombie inferocita. Non si tratta neanche dell’ennesima stupida manifestazione studentesca voluta non per cambiare le cose ma per saltarsi un giorno di scuola (a mio parere piu’ pericolosa degli zombie).

No, e’ qualcosa di piu’ importante. E’ qualcosa che sta aprendo le porte di un nuovo (e speriamo migliore e piu’ vicino possibile) futuro.

E’ il Gay Pride di Palermo.

Si, perche’ questa volta le cose non solo sono state fatte in grande, ma anche bene.

Mesi di duro lavoro hanno dato i risultati che tutti speravamo. Un Gay Village aperto per dieci giorni ai Cantieri Culturali della Zisa (classificato come il piu’ grande d’Europa), un Pride con 130.000 persone e, finalmente, un’impennata notevole del turismo che vede gente provenire, per questo evento, non solo da tutta Italia ma da tutta l’Unione Europea.

Abitando nei pressi dei Cantieri ho passato quasi l’intera settimana li’ dentro, osservando piacevolmente impressionato il duro lavoro di un gruppo di persone dare i suoi frutti.

Camminavo per i Cantieri, divertendomi, sorridendo alla vista non solo del numeroso popolo LGBT, ma anche dei numerosissimi etero, famiglie con bambini, stranieri che sono venuti qui a Palermo per questo evento.

Eh si! Impressionante pensare come, ad un Gay Pride, l’orgoglio, la felicita’, la speranza, il divertimento e soprattutto la tolleranza sia stata data anche dal mondo etero dimostrando finalmente come, in realta’, non vi sono differenze gli uni fra gli altri.

Perche’ e’ questo lo scopo di un Pride. Ricordarci che siamo tutti uguali. La prova? Tutti quegli etero, invece di starsene a casa, erano con noi. Hanno ballato con noi, si sono divertiti con noi, hanno sfilato con noi.

E questo ci riporta al momento clue di questa settimana impegnativa: il Gay Pride, la sfilata che e’ partita il 22 giugno alle 5:30pm dal Foroitalico, salendo per Corso Vittorio Emanuele, girando in via Roma, arrivando a Piazza Sturzo, salendo per il Politeama e continuare per via Dante, fino a giungere a Piazza Principe di Camporeale dove si trovano i Cantieri Culturali.

Mi sono mosso con un paio di amici fino all’entrata di Corso Vittorio Emanuele, per poi staccarmi e, affiancato dalla mia macchina fotografica, ho deciso di tornare indietro per fare foto all’impazzata.

Drag Queen che salutavano da sopra i carri con i loro fantastici vestiti colorati (il rosa spiccava ovunque), carri decorati in tutti i modi possibili, musica al massimo del volume, le emozioni che salivano. Non potevi trattenere i sorrisi, era impossibile. Eri li’, nel mezzo di una parata che significa di tutto e di piu’. Una parata formata non solo da gente che richiede i propri diritti, ma anche da chi vuole che questi diritti vengano dati.

Mi ritrovai improvvisamente nel mezzo della folla, impossibilitato nell’andare avanti e quindi mi arresi all’idea di dover rimandare le foto dei carri piu’ lontani ad un momento piu’ propizio, mentre nel frattempo mi godevo la musica del carro che avevo davanti (quello dell’Exit, locale famoso di Palermo per il popolo LGBT e non solo).

La parte piu’ bella? Non eravamo noi che facevamo parte del corteo. Non era neanche la Regina Elisabetta (si, ci ha fatto visita per questo avvenimento importante. E’ colpa sua se siamo partiti dopo le cinque: non voleva rinunciare all’immancabile te’ inglese). No, la parte piu’ bella sono stati loro: la gente affacciata ai balconi, ammassata sulle strade in attesa del passaggio dei carri che salutava, sorrideva e, presa dall’emozione del momento, si univa a noi. Volevamo raggiungere un risultato, e ci siamo riusciti. Adesso l’impegno principale e’ mantenerlo.

130.000 persone. Non e’ un dato indifferente. Non puo’ essere ignorato. Significa qualcosa. E’ qualcosa. E’ l’inizio di qualcosa di diverso, in una citta’ che e’ sempre stata dipinta il peggio del peggio ma che ha dimostrato, in questa occasione, di essere molto piu’ avanti e di non avere nulla da invidiare a quelle grandi metropoli mondiali che si definiscono tolleranti verso il popolo LGBT e che ogni tanto invece si macchiano di notizie orribili come stupri, uccisioni e bullismo.

Segue infine la serata ai Cantieri, fino alle tre di notte, per poi prepararsi per l’indomani, ultimo giorno del Gay Village.

Siamo riusciti nel nostro intento? Io dico di si. Adesso il nostro scopo e’ quello di continuare a lottare, di mantenere alti i risultati adesso ottenuti e di raggiungerne di nuovi. Nulla, la paura per prima, ci deve fermare.

Perche’ e’ questo che vuole dire il Gay Pride. E’ questo cio’ su cui si basa. Sull’essere fieri di cio’ che si e’, che la diversita’ sessuale non deve essere sintomo di vergogna ma di orgoglio, perche’ e’ un dono. Che il proprio orientamento sessuale, la nostra identita’ di genere, sono situazioni innate e che non possono essere alterate intenzionalmente (come invece certe teste di c***o credono si possa fare).

I gay Pride esistono dal 1969. Sono ben 44 anni che queste manifestazioni cercano di raggiungere gli obbiettivi prefissati. Da quella prima volta molte cose sono cambiate e oggi, finalmente, come abbiamo potuto vedere a Palermo, si puo’ cominciare finalmente a parlare di cambiamento nel senso positivo del termine.








sabato 22 giugno 2013

L'importanza del Gay Pride


Anche a Palermo il grande giorno del Pride è arrivato. Ancora poche ore ed il centro della nostra meravigliosa città sarà "invaso" da circa 100.000 persone che insieme rivendicheranno l'orgoglio LGBT e l'importanza dei diritti di tutti gli uomini e le donne. L'appuntamento che darà il via alla parata sarà l'incontro delle ore 16, quando le madrine della manifestazione incontreranno la stampa prima di salire sul carro principale per la sfilata del Pride più a sud d'Europa. Il concentramento è previsto per ore 16 al Foro Umberto I, di fronte all'hotel Jolly. La parata sarà aperta dal carro del Coordinamento Palermo Pride, allestito con un'ironica citazione dei tipici carretti siciliani.“ Il Gay Pride è, nel mondo, la principale manifestazione delle istanze civili e della cultura omosessuali. Ogni anno vi partecipano non solo le associazione per i diritti LGBT ma singole persone che vogliono esprimere le proprie idee di emancipazione, di rispetto verso tutti a prescindere dall'orientamento sessuale. 
Da molti questo evento viene considerato come "anormale", esattamente com' è considerato anormale e offensivo permettere a uomini e donne omosessuali di sposarsi. Normale è per noi tutto ciò che è tradizionalmente accettato e trasmesso in maniera a-critica; viviamo in una società fondata sul senso comune, che tende inconsapevolmente a diffondere pregiudizi che hanno come conseguenza l’esclusione sociale di alcuni, ritenuti anormali poiché si allontanano dalla cosiddetta norma. Il problema è che le convenzioni che si stabiliscono tra gli esseri umani si fondano sull'aspettativa che gli altri individui si comportino nel modo che tra noi è normale. Questo è normale? Secondo me, e per fortuna secondo tanti altri, è proprio questo un atteggiamento sbagliato e del tutto pericoloso in quanto, consapevolmente o no, non fa altro che alimentare una cultura omofoba e discriminante. 

A tutti coloro che affermano che non è corretto che gli omosessuali si sposino io ricordo che il matrimonio è un'istituzione e in quanto tale, in una civiltà paritaria, deve essere consentito a tutti gli esseri umani. Ovviamente il Gay pride non vuole imporre il proprio pensiero a tutti, ognuno può avere le proprie convinzioni e le proprie credenze ma non si potrà mai parlare di rispetto dei diritti umani fondamentali, se continuiamo ad impedire a tutti gli uomini e le donne il diritto d'accesso ad un'istituzione. Tutti dobbiamo avere la possibilità di essere ciò che vogliamo, senza avere paura di non essere accettati dal mondo intero. Non dobbiamo respingere il cambiamento solo per paura che questo sconvolga il nostro "equilibrio"; dobbiamo renderci conto che anche, e soprattutto, le legislazioni sono frutto del loro tempo e che quindi arriva un momento di essere modificate e migliorate. Anche la famiglia composta da madre e padre è solo una categoria, un organizzazione che ci siamo imposti e che è del tutto arbitraria.
Basti pensare al mondo greco, il mondo dei filosofi per eccellenza, che amavano la persona in quanto tale, la loro anima, poco importava se uomini o donne. La cosa che si dovrebbe sperare per ogni bambino/a che viene al mondo è di nascere in una famiglia vera, dove per vera non intendo eterosessuale o omosessuale ma intendo una famiglia che sappia dare amore, poiché questa è l’unica cosa che conta. Non ci sono elementi di carattere scientifico che possano dimostrare che due persone dello stesso sesso non possono essere dei bravi genitori responsabili.
L’amore è l’unica cosa naturale, tutto il resto sono solo convenzioni.
Ecco perché credo nell'importanza del Gay Pride in quanto principale azione civile per ottenere il rispetto dei diritti LGBT.


domenica 5 maggio 2013

Addio ad Agnese Borsellino, simbolo della lotta contro la mafia


Oggi, a Palermo, è morta Agnese Piraino Leto, vedova del giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nel 1992. La signora Borsellino era ammalata da tempo.


 
Con lei se n'è andata via un altra meravigliosa donna, simbolo di coraggio, legalità, resistenza della giustizia. Agnese  non ha mai rinunciato a testimoniare il proprio impegno nella lotta alla mafia e nella ricerca della verità sull'uccisione del marito. Citata a deporre nell'ultimo processo per la strage, in corso a Caltanissetta, avrebbe dovuto ripetere in aula le confidenze ricevute dal marito poco tempo prima di morire: "Paolo mi accennò che c’era una trattativa tra la mafia e lo Stato. – ha raccontato ai pm la vedova – Dopo la strage di Capaci mi disse che c’era un colloquio tra mafia e pezzi infedeli dello Stato". ’"Paolo mi disse – ha raccontato la donna – mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno". Agnese è morta senza sapere la verità, ha trascorso l'intera vita aspettando di avere giustizia, ha lottato con tutta se stessa per mantenere viva la memoria del marito Paolo, uomo che ha sacrificato la propria vita per la giustizia e la legalità. Una donna coraggiosa che da sola ha continuato la strada intrapresa dal marito. 

Resterà per sempre nel cuore di tutti/e. 
La ricordiamo con le sue parole:


Caro Paolo, da venti lunghi anni hai lasciato questa terra per raggiungere il Regno dei Cieli, un periodo in cui ho versato lacrime amare; mentre la bocca sorrideva il cuore piangeva, senza capire, stupita, smarrita, cercando di sapere. Mi conforta oggi possedere tre preziosi gioielli: Lucia, Manfredi, Fiammetta; simboli di saggezza, purezza, amore, posseggono quell' amore che tu hai saputo spargere attorno a te, caro Paolo, diventando immortale. Hai lasciato una bella eredità, oggi raccolta dai ragazzi di tutta Italia; ho idealmente adottato tanti altri figli, uniti nel tuo ricordo dal nord al sud - non siamo soli. Desidero ricordare: sei stato un padre e un marito meraviglioso, sei stato un fedele, sì un fedelissimo servitore dello Stato, un modello esemplare di cittadino italiano, resti per noi un grande uomo perché dinnanzi alla morte annunciata hai donato senza proteggerti ed essere protetto il bene più grande, «la vita», sicuro di redimere con la tua morte chi aveva perduto la dignità di uomo e di scuotere le coscienze. Quanta gente hai convertito!!! Non dimentico: hai chiesto la comunione presso il palazzo di giustizia la vigilia del lungo viaggio verso l' eternità, viaggio intrapreso con celestiale serenità, portando con te gli occhi intrisi di limpidezza, uno sguardo col sorriso da fanciullo, che noi non dimenticheremo mai. In questo ventesimo anniversario ti prego di proteggere ed aiutare tutti i giovani sui quali hai sempre riversato tutte le tue speranze e meritevoli di trovare una degna collocazione nel mondo del lavoro, dicevi: «Siete il nostro futuro, dovete utilizzare i talenti che possedete, non arrendetevi di fronte alle difficoltà». Sento ancora la tua voce con queste espressioni che trasmettono coraggio, gioia di vivere, ottimismo. Hai posseduto la volontà di dare sempre il meglio di te stesso. Con questi ricordi tutti ti diciamo «grazie Paolo», tua Agnese.

Grazie Agnese




sabato 4 maggio 2013

Sosan Firooz, la prima donna rapper


Sosan Firooz ha solo 23 anni ma coraggio da vendere, una donna che in quella terra martoriata che è l'Afghanistan vuole cambiare la storia attraverso la musica. Sosan Firooz è la prima donna rapper in una nazione povera di arti musicali, che attraverso le parole delle sue canzoni sta lanciando un messaggio di libertà e giustizia al suo popolo, e grazie ad Internet, anche al resto del mondo.
Ascolta la mia storia! Ascolta il mio dolore e la mia sofferenza!” canta Sosan. Il suo è un grido di dolore ma anche e soprattutto di speranza, la speranza che qualcosa per le donne afghane possa cambiare. Canta e lotta Sosan, va contro tutte le convenzioni sociali e le tradizioni afghane: si esibisce davanti a uomini e donne, rifiuta di indossare il burqua, lascia i suoi lunghi capelli liberi da qualsiasi velo e il suo abbigliamento è tipicamente hip hop: jeans larghi, bracciali, catene, cintura con un teschio, orecchini.

Sosan riesce a imporsi, con il microfono esprime pienamente se stessa. Nel suo primo pezzo, Our neighboord, parla di speranze di pace per la sua nazione, di miseria e repressione per le giovani donne, ma soprattutto della famiglia, in fuga negli anni '90 per sfuggire alla guerra civile, dei campi profughi di Iran e Pakistan dove ha vissuto per anni, subendo angherie e un razzismo insopportabile.
Ovviamente la giovane donna ha già ricevuto numerose minacce di morte. E' stata abbandonata da moltissimi amici e parenti, le uniche certezze che continua ad avere sono il suo coraggio e la sua famiglia, che non l'ha mai abbandonata. 
Sosan lancia anche un appello ai suoi coetanei e connazionali:  “Restate nel vostro paese. Coloro che vanno via trovano solo lavori miserabili. Avranno nostalgia della loro terra, vorranno baciare la sua polvere. Qual'è il risultato di essere dei rifugiati in Iran o in Pakistan? Per loro metà degli afghani sono tossicodipendenti e l'altra metà terroristi”.
In Afghanistan Sosan Firooz sta iniziando solo ora a farsi conoscere. Da poco ha partecipato a tre giorni di concerti a Kabul dove, a causa delle regole sociali tuttora in vigore, i musicisti si sono dovuti esibire due volte, il primo giorno di fronte a un pubblico femminile, il secondo di fronte a quello maschile. 

Quando non si esibisce, Sosan lavora come attrice. Per fortuna, qualcuno l'ha scoperta e le ha offerto il suo aiuto. Il suo primo e unico singolo è stato infatti creato nel piccolo studio di registrazione del compositore Fared Rastagar, che ora la segue e la aiuta nella sua carriera. 


Che la riscossa di un popolo intero possa partire dalle rime di speranza di una giovane donna? Non dimentichiamo il coraggio di Sosan e di tutte le donne che come lei, in ogni parte del mondo, lottano contro la repressione e la paura.