lunedì 12 dicembre 2011

Felicia Impastato


Felicia Impastato è stata una attivista italiana, famosa per essere stata la madre di Peppino Impastato e per aver combattuto per arrestare i responsabili della morte del figlio.
Peppino, per chi non lo conoscesse, è stato un politico, attivista e conduttore radiofonico italiano (Radio Aut), famoso per le denunce delle attività della mafia in Sicilia, che gli costarono la vita. Fu, infatti, ucciso nel 1978 su ordine del boss Tano Badalamenti.

Felicia nel 1947 sposa Luigi Impastato, di una famiglia di piccoli allevatori legati alla mafia del paese.
Il cognato di Luigi, Cesare Manzella, marito della sorella, era il capomafia del paese e muore nel 1963 a causa dell’esplosione di un’auto imbottita di tritolo
L’affiatamento con il marito dura molto poco. Lei stessa afferma: «Appena mi sono sposata ci fu l’inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: ‘Stai attento, perché gente dentro (casa) non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre». Felicia non sopporta l’amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Manzella. Il contrasto con il marito si acuirà quando Peppino inizierà la sua attività politica.
Felicia comincerà a difendere il figlio che intanto denuncia potenti locali e mafiosi e rompe con il padre. Dopo la morte di quest'ultimo, che può definirsi un omicidio camuffato, Felicia comincia sempre più a temere per la vita del figlio la cui attività politica diventa sempre più intensa.
La mattina del 9 maggio 1978 viene trovato il corpo sbriciolato di Peppino.
La madre rompe il silenzio mafioso quando vogliono far passare l'idea che il figlio si è suicidato o che fosse un terrorista. E' così che decide di costituirsi parte civile nel processo, dichiarando sempre di volere, per suo figlio, giustizia e non vendetta.
In seguito, grazie al film "I cento passi" diretto da Marco Tullio Giordana nel 2000, film che ha fatto conoscere Peppino al grande pubblico, la sua casa a Cinisi si riempie sempre di più di tanti, giovani e meno giovani, che desideravano incontrare Felicia, rendendola felice e facendole dimenticare i tanti anni in cui a trovarla andavano in pochi e a starle vicino erano pochissimi. E ai giovani diceva: «Tenete alta la testa e la schiena dritta».
Badalamenti è stato condannato nel 2002 all'ergastolo come mandante dell'omicidio di Giuseppe Impastato, come pure è stato condannato il suo vice.

La storia di Felicia Impastato è sicuramente un esempio di coraggio e forza, con lei morta il 7 Dicembre del 2004 se n'è andato uno dei simboli più veri della lotta contro la mafia. La forza di una mamma che ha combattuto la mafia con l'arma della giustizia, senza mai cadere nella stupidità della vendetta mafiosa; una donna che ha messo al mondo dei figli eccezionali mostrando come la Sicilia non è solo "terra di mafia" ma anche la culla di persone fiere e oneste che danno la loro vita per la giustizia e la legalità. Niente potrà mai scalfire il suo ricordo, il ricordo di Peppino, Rita Atria, i giudici Falcone e Borsellino e tantissimi altri ancora, che hanno reso questa terra una terra degna di essere vissuta.

Voglio riportare questa poesia, da me conosciuta grazie ad un'amica, di Umberto Santino.
La poesia s'intitola "LA MATRI DI PIPPINU" ed è scritta in siciliano:


Chistu unn'è me figghiu.
Chisti unn' su li so manu.
Chista unn'è la so facci.
Sti quattro pizzudda di carni un li fici iu.
Me figghiu era la vuci chi grirava 'nta chiazza
era lu rasolu ammulatu di li so paroli
era la rabbia
era l'amuri
chi vulia nasciri
chi vulia crisciri.
Chistu era me figghiu quannu era vivu,
quannu luttava cu tutti:
mafiusi, fascisti, omini di panza
ca un vannu mancu un suordu
patri senza figghi
lupi senza pietà.
Parru cu iddu vivu
un sacciu parrari cu li morti.
L'aspettu iornu e notti,
ora si grapi la morta,
trasi, m'abbrazza,
lu chiamu, è nna so stanza chi sturia,
ora nesci, ora torna,
la facci niura comu la notti,
ma si riri è lu suli chi spunta pi la prima vota,
lu suli picciriddu.
Chistu unn'è me figghiu,
stu tabbutu chinu di pizzudda di carni
unn'è Pippinu.
Cca rintra ci sunnu tutti li figghi
chi un puottiru naciri di n'autra Sicilia.

Traduzione:
Questo non è mio figlio. Queste non sono le sue mani, questo non è il suo volto, questi brandelli di carne non li ho fatti io. Mio figlio era la voce che gridava nella piazza, era il rasoio affilato dalle sue parole, era la rabbia, era l'amore che voleva nascere, che voleva crescere. Questo era mio figlio quando era vivo, quando lottava contro tutti, mafiosi, fascisti, uomini d'onore, che non valgono neppure un soldo, padri senza figli, lupi senza pietà. Parlo con lui da vivo, non so parlare con i morti. L'aspetto giorno e notte, ora si apre la porta, entra, mi abbraccia, lo chiamo, è nella sua stanza a studiare, ora esce, ora torna, il viso nero come la notte, ma se ride è il sole che spunta per la prima volta, il sole bambino. Questo non è mio figlio, questa bara piena di brandelli di carne non è Peppino: qui dentro ci sono tutti i figli non nati di un'altra Sicilia.




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