lunedì 30 gennaio 2012

Addio a Giovanna Terranova

Tre giorni fa, il 27 Gennaio 2012 muore a Palermo all'età di 87 anni Giovanna Terranova, fondatrice dell'Associazione siciliana donne contro la mafia.
Nasce a Palermo in una famiglia dell’alta borghesia. Studia al Sacro Cuore, un collegio esclusivo tenuto da suore francesi che danno del lei anche alle bambine. Si laurea in lettere, ma non insegnerà a causa della sua timidezza, dà però lezioni private con grande entusiasmo. Nel ’50 conosce Cesare Terranova, allora pretore in provincia di Messina, e si sposano dopo pochi mesi. Nel ’58 il marito ottiene il trasferimento a Palermo e già negli anni Sessanta, da giudice istruttore, si occupa di mafia. Dopo qualche anno Cesare Terranova diventa procuratore a Marsala e successivamente accetta l’offerta di candidarsi nelle elezioni nazionali come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano; entra a far parte della Commissione parlamentare antimafia. Durante il suo mandato parlamentare viene arrestato il capomafia di Riesi Giuseppe Di Cristina. Il 19 luglio del ’79 viene ucciso a Palermo il vicequestore Boris Giuliano, molto vicino a Cesare, il quale aveva deciso di tornare al suo lavoro di magistrato e chiesto il posto di giudice istruttore a Palermo. L’omicidio Giuliano mette in allarme Giovanna, e anche Cesare non riesce del tutto a nascondere la sua preoccupazione.Giovanna vorrebbe convincerlo a chiedere un’altra sede. Il 25 settembre 1979, Cesare Terranova viene ucciso con il maresciallo Lenin Mancuso, mentre si accinge ad andare al palazzo di giustizia. Giovanna sente un gran rumore: erano i colpi di mitra. Ha un presentimento, scende in vestaglia, ma le viene impedito di avvicinarsi al corpo del marito. Da quel giorno, lentamente e in mezzo al dolore, per Giovanna comincia una nuova vita. Sente che la sua tragedia riguarda tutta la società così si costituisce parte civile nel processo intentato contro Luciano Liggio, anche se è convinta che proprio il lavoro del marito indicasse che i responsabili avrebbero dovuto essere cercati anche altrove, e accetta, lei che non aveva mai fatto attività sociale e politica di alcun genere, di far parte dell’Associazione donne siciliane per la lotta contro la mafia, di cui diventa presidente all'atto della costituzione formale. L'Associazione comincia le sue attività nel 1980, con un gesto di denuncia: raccogliendo migliaia di firme per un appello al governo regionale e a Pertini, allora presidente della Repubblica, perché le istituzioni si impegnassero nella lotta alla mafia. Giovanna Terranova ci tiene a precisare che non si trattava di vedove, gran parte delle donne non era parente delle vittime di mafia: semplicemente, erano cittadine che - anche in quanto donne - si erano sentite offese dalla carica di violenza dell'azione mafiosa. Da qualche tempo l'associazione non è più attiva, ma per molti anni è stata uno dei volti in cui si esprimeva la Palermo non rassegnata e non vittimista.


Credo che questa figura femminile a noi così vicina, che nel 1988 riceve il premio “Donna d’Europa”, non poteva mancare in questo blog. Credo non che non ci sia molto da aggiungere, nel salutarla la ricordo con le sue stesse parole:
«All’inizio l’istinto è quello di rinchiudersi nel proprio dolore, non si pensa assolutamente di mettersi in gioco. È quello che ho provato anch’io. Però poi ho avuto la sensazione di non essere la protagonista di una tragedia soltanto personale, ma di una tragedia collettiva, che il pericolo minacciava un’intera società, non solo me. È questo che spinge ad un certo punto a testimoniare, quando ci si dice che non sono fatti tuoi, ma sono fatti di tutti i cittadini. E non si deve perdere la capacità di reagire, cioè quel filo che ci lega gli uni agli altri in una società civile, che è il filo della reattività. Altrimenti si rischia di scivolare nell’indifferenza e nella rassegnazione, si rischia di dimenticare».



venerdì 27 gennaio 2012

Giornata della memoria: Ilse Weber

Il 27 Gennaio di ogni anno si celebra l’ormai tradizionale “Giornata della Memoria”, una giornata che ricorda quel 27 gennaio del 1945 nel quale le truppe russe oltrepassarono per la prima volta i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz ponendo fine all’orrore.
Sono passati più di 60 anni, ma la tragedia della Shoah continua ad essere una ferita aperta nell’animo umano, o almeno si spera. Il senso profondo di questa giornata della memoria sta tutto qui : una giornata per riflettere e ricordare fino a che punto l'uomo e la donna sono capaci di spingersi, quali orrori possiamo commettere, tutti quanti! Come afferma Hannah Arendt il totalitarismo è una minaccia costante, anche dopo la scomparsa delle sue forme storiche del '900: "esso ci resterà probabilmente alle costole per l'avvenire".
Nessun ideale di libertà, di giustizia, di dignità umana è conquistato una volta per tutte, poiché l’intolleranza e l’orgoglio di razza può rinascere ancora, indossando nuove divise e parlando nuovi linguaggi. 
Insisto sulla figura della Arendt perché le sue opere possono davvero aiutarci a comprendere come l'uomo possa perdere di vista la realtà a favore di un mondo fittizio che seppur non reale è più semplice da comprendere e accettare. I regimi totalitari hanno cercato di realizzare il dominio totale sugli individui, dominando ogni aspetto della loro vita; ha reso ogni uomo e donna superficiali, facendogli credere che la loro esistenza non poteva cambiare le cose.
Prendiamo il caso di Eichmann, uno dei responsabili del piano nazista di sterminio degli ebrei. di cui la Arendt parla nella sua opera "La banalità del male".
La scrittrice mise in risalto il fatto che Eichmann era una persona "normale", un individuo tutt'altro che disumano o mostruoso. Per usare le parole della Arendt: <<Una mezza dozzina di psichiatri lo aveva dichiarato "normale", e uno di questi, si dice, aveva esclamato addirittura: "Più normale di quello che sono io dopo che l'ho visitato", mentre un altro aveva trovato che tutta la sua psicologia, tutto il suo atteggiamento verso la moglie e i figli, verso la madre, il padre, i fratelli, le sorelle e gli amici era "non solo normale, ma ideale".>>
Alla base della partecipazione agli eventi più terrificanti può esservi non la scelta del male, o il piacere per la sofferenza altrui, ma semplicemente l'indifferenza, l'incapacità di pensare. Eichmann stesso, durante il processo, afferma che eseguiva solo degli ordini.
"Non era stupido, era semplicemente senza idee. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee, possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell'uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria."
Credo che tutto questo debba farci riflettere. La giornata dell memoria non deve essere solo un giorno di chiacchiere inutili e fine a se stesse, dobbiamo capire e dare il giusto peso a ciò che si intende per Memoria
Il passato non è mai passato, ma accade anche oggi, la memoria è sempre presente perché deve motivare le nostre azioni.

Vorrei condividere con tutte e tutti voi, in onore di questa giornata, la biografia di questa meravigliosa donna:
Ilse Weber

Ilse Herlinger Weber nasce a Witkowitz nel 1903 e muore ad Auschwitz nel 1944. Poetessa e scrittrice di testi teatrali per bambini, nel 1930 sposa Willy Weber e si trasferisce a Praga, scrivendo per periodici per bambini e lavorando per la radio ceca.
A seguito dell’occupazione nazista del 1939, messo in salvo in Svezia il figlio maggiore, Hanus, la famiglia viene rinchiusa nel ghetto di Praga. Nel 1942 Willy, Ilse e il figlio minore Tommy vengono trasferiti nel campo di concentramento di Theresienstadt, dove Ilse si cura dei bambini dell’accampamento, facendo di tutto per aiutarli senza il sussidio della medicina (proibita ai prigionieri ebrei). Durante la prigionia, compone oltre 60 poesie e intrattiene i bambini accompagnandosi con una chitarra, per non far loro sentire l’orrore che li circonda. Nel 1944 Willy viene trasferito ad Auschwitz e Ilse sceglie di seguirlo, con il figlio Tommy. Insieme a loro, anche i bambini dell’infermeria di Theresienstadt. Prima di partire per Auschwitz, Willy nasconde sotto terra in tutta fretta, nel capanno degli attrezzi, le poesie e canzoni che la moglie aveva composto nei due anni di detenzione a Theresienstadt. Arrivati ad Auschwitz lei ed il figlioletto Tommy vennero subito uccisi. Willi sopravvisse e poté poi riabbracciare Hanus, il figlio sopravvissuto, recandosi anche Theresienstadt per recuperare il pacco che aveva sotterrato.

Queste composizioni testimoniano le innumerevoli tragedie di tanti bambini e anziani che si sono consumate in quel campo di concentramento.

Wiegala
Fai ninna, fai nanna, mio bimbo, lo sento
risuona la lira al soffiare del vento,
nel verde canneto risponde l'assolo
del canto dolce dell'usignolo.
Fai ninna, fai nanna, mio bimbo, lo sento
risuona la lira al soffio del vento.

Fai ninna, fai nanna, gioia materna,
la luna p come una grande lanterna,
sospesa in alto nel cielo profondo
volge il suo sguardo dovunque nel mondo.
Fai ninna, fai nanna gioia materna,
la luna è come una grande lanterna.

Fai ninna, fai nanna, sereno riposa
dovunque la notte si fa silenziosa!
Tutto è quieto, non c'è più rumore,
mio dolce bambino, per farti dormire.
Fai ninna, fai nanna, sereno riposa
dovunque la notte si fa silenziosa!





sabato 21 gennaio 2012

Dall’angelo del focolare alla mistica della seduzione. Tutti i messaggi passano attraverso il corpo.


"II femminismo non ha liberato le donne" è il titolo di un articolo di Susanna Tamaro, l'autrice del famoso libro "Va dove ti porta il cuore", pubblicato sul Corriere.it
E' un articolo davvero molto interessante soprattutto perché a parlare è una donna che ha vissuto gli anni delle vere battaglie delle femministe. La famosa scrittrice racconta il femminismo vissuto dalle sue amiche, la gioia nel vedere davanti a loro un nuovo orizzonte, per poi giungere ad oggi. La donna oggetto era ed oggetto è rimasta: "Siamo passati così dalla falsa immagine della donna come angelo del focolare, che si realizza soltanto nella maternità, alla mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l’offerta del proprio corpo siano l’unica via per la realizzazione"
Ogni giorno sento di ringraziare le donne che in quegli anni hanno lottato e ci hanno liberato da moltissime catene, riuscendo ad ottenere oggi ciò che un tempo era inimmaginabile, però a questo si accompagna un senso di sconforto e la consapevolezza che queste donne sarebbero profondamente deluse nel vedere come la situazione sotto molti aspetti sia peggiorata. Tutte noi donne dovremmo sentirci in colpa anche nei loro confronti. Il maschilismo continua a dilagare non solo tra gli uomini, ma soprattutto tra le donne, di questo dovremmo seriamente preoccuparci. Di seguito l'articolo integrale.



"Appartengo alla generazione che ha combattuto, negli anni della prima giovinezza, la battaglia per la libertà sessuale e per la legalizzazione dell’aborto. La generazione che nei tè pomeridiani, tra un effluvio di patchouli e una canna, imparava il metodo Karman, cioè come procurarsi un aborto domestico con la complicità di un gruppo di amiche.
Quella generazione che organizzava dei voli collettivi a Londra per accompagnare ad abortire donne in uno stato così avanzato di gravidanza da sfiorare il parto prematuro. È difficile, per chi non li ha vissuti, capire l’eccitazione, l’esaltazione, la frenesia di quegli anni. La sensazione era quella di trovarsi sulla prua di una nave e guardare un orizzonte nuovo, aperto, illuminato dal sole di un progresso foriero di ogni felicità.
Alle spalle avevamo l’oscurità, i tempi bui della repressione, della donna oggetto manipolata dai maschi e dai loro desideri, oppressa dal potere della Chiesa che, secondo gli slogan dell’epoca, vedeva in lei soltanto un docile strumento di riproduzione. Erano gli anni Settanta.
Personalmente, non sono mai stata un’attivista, ma lo erano le mie amiche più care e, per quanto capissi le loro ragioni, non posso negare di essere stata sempre profondamente turbata da questa pratica che, in quegli anni, si era trasformata in una sorta di moderno contraccettivo.
Mi colpiva, in qualche modo, la leggerezza con cui tutto ciò avveniva, non perché fossi credente — allora non lo ero — né per qualche forma di moralismo imposto dall’alto, ma semplicemente perché mi sembrava che il manifestarsi della vita fosse un fatto così straordinariamente complesso e misterioso da meritare, come minimo, un po’ di timore e di rispetto. Come sono cambiate le cose in questi quarant’anni? Ho l’impressione che anche adesso il discorso sulla vita sia rimasto confinato tra due barriere ideologiche contrapposte.
La difesa della vita sembra essere appannaggio, oggi come allora, solo della Chiesa, dei vescovi, di quella parte considerata più reazionaria e retriva della società, che continua a pretendere di influenzare la libera scelta dei cittadini. Chi è per il progresso, invece, pur riconoscendo la drammaticità dell’evento, non può che agire in contrapposizione a queste continue ingerenze oscurantiste.
Naturalmente, un Paese civile deve avere una legge sull'aborto, ma questa necessaria tutela delle donne in un momento di fragilità non è mai una vittoria per nessuno. I dati sull'interruzione volontaria di gravidanza ci dicono che le principali categorie che si rivolgono agli ospedali sono le donne straniere, le adolescenti e le giovani. Le ragioni delle donne straniere sono purtroppo semplici da capire, si tratta di precarietà, di paura, di incertezza ragioni che spingono spesso ormai anche madri di famiglia italiane a rinunciare a un figlio, ragioni a cui una buona politica in difesa della vita potrebbe naturalmente ovviare.
Ma le ragazze italiane? Queste figlie, e anche nipoti delle femministe, come mai si trovano in queste condizioni? Sono ragazze nate negli anni 90, ragazze cresciute in un mondo permissivo, a cui certo non sono mancate le possibilità di informarsi. Possibile che non sappiano come nascono i bambini? Possibile che non si siano accorte che i profilattici sono in vendita ovunque, perfino nei distributori automatici notturni? Per quale ragione accettano rapporti non protetti? Si rendono conto della straordinaria ferita cui vanno incontro o forse pensano che, in fondo, l’aborto non sia che un mezzo anticoncezionale come un altro? Se hai fortuna, ti va tutto bene, se hai sfortuna, te ne sbarazzi, pazienza. Non sarà che una seccatura in più. Qualcuno ha spiegato loro che cos'è la vita, il rispetto per il loro corpo? Qualcuno ha mai detto loro che si può anche dire di no, che la felicità non passa necessariamente attraverso tutti i rapporti sessuali possibili? Chi conosce il mondo degli adolescenti di oggi sa che la promiscuità è una realtà piuttosto diffusa. Ci si piace, si passa la notte insieme, tra una settimana forse ci piacerà qualcun altro. I corpi sono interscambiabili, così come i piaceri. Come da bambine hanno accumulato sempre nuovi modelli di Barbie, così accumulano, spinte dal vuoto che le circonda, partner sempre diversi. Naturalmente non tutte le ragazze sono così, per fortuna, ma non si può negare che questo sia un fenomeno in costante crescita.
Sono più felici, mi chiedo, sono più libere le ragazze di adesso rispetto a quarant’anni fa? Non mi pare. Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo aver portato le donne ad essere soltanto oggetti in modo diverso. Non occorre essere sociologi né fini pensatori per accorgersi che ai giorni nostri tutti i messaggi rivolti alle bambine si concentrano esclusivamente sul loro corpo, sul modo di offrirsi agli altri.
Si vedono bambine di cinque anni vestite come cocotte e già a otto anni le ragazzine vivono in uno stato di semi anoressia, terrorizzate di mangiare qualsiasi cosa in grado di attentare alla loro linea. Bisogna essere magre, coscienti che la cosa che abbiamo da offrire, quella che ci renderà felici o infelici, è solo il nostro corpo. Il fiorire della chirurgia plastica non è che una tristissima conferma di questa realtà.
Pare che molte ragazze, per i loro diciotto anni, chiedano dei ritocchi estetici in regalo. Un seno un po’ più voluminoso, un naso meno prominente, labbra più sensuali, orecchie meno a vela. Il risultato di questa chirurgia di massa è già sotto ai nostri occhi: siamo circondate da Barbie perfette, tutte uguali, tutte felicemente soddisfatte di questa uguaglianza, tutte apparentemente disponibili ai desideri maschili.
Sembra che nessuno abbia mai detto a queste adolescenti che la cosa più importante non è visibile agli occhi e che l’amore non nasce dalle misure del corpo ma da qualcosa di inesprimibile che appartiene soprattutto allo sguardo. Siamo passati così dalla falsa immagine della donna come angelo del focolare, che si realizza soltanto nella maternità, alla mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l’offerta del proprio corpo siano l’unica via per la realizzazione. Più fai sesso, più sei in gamba, più sei ammirata dal gruppo. Nella latitanza della famiglia, della chiesa, della scuola, la realtà educativa è dominata dai media e i media hanno una sola legge. Omologare. Ma questo lato apparentemente così comprensibile, così frivolo — voler essere carine o anche voler mitigare i segni del tempo — che cosa nasconde? Il corpo è l’espressione della nostra unicità ed è la storia delle generazioni che ci hanno preceduti. Quel naso così importante, quei denti storti vengono da un bisnonno, da una trisavola, persone che avevano un’origine, una storia e che, con la loro origine e la loro storia, hanno contribuito a costruire la nostra. Rendere anonimo il volto vuol dire cancellare l’idea che l’essere umano è una creatura che si esprime nel tempo e che il senso della vita è essere consapevoli di questo. La persona è l’unicità del volto. L’omologazione imposta dalla società consumista—e purtroppo sempre più volgarmente maschilista — ha cancellato il patto tra le generazioni, quel legame che da sempre ha permesso alla società umana di definirsi tale.
Noi siamo la somma di tutti i nostri antenati ma siamo, al tempo stesso, qualcosa di straordinariamente nuovo e irripetibile. Cancellare il volto vuol dire cancellare la memoria, e cancellare la memoria, vuol dire cancellare la complessità dell’essere umano. Consumare i corpi, umiliare la forza creativa della vita per superficialità e inesperienza, vuol dire essere estranei dall'idea dell’esistenza come percorso, vuol dire vivere in un eterno presente, costantemente intrattenuti, in balia dei propri capricci e degli altrui desideri.
Senza il senso del tempo non abbiamo né passato né futuro, l’unico orizzonte che si pone davanti ai nostri occhi è quello di una specchio in cui ci riflettiamo infinite volte, come nei labirinti dei luna park. Procediamo senza senso da una parte, dall’altra, vedendo sempre e soltanto noi stessi, più magri, più grassi, più alti, più bassi. All’inizio quel girare in tondo ci fa ridere, poi col tempo, nasce l’angoscia.
Dove sarà l’uscita, a chi chiedere aiuto? Battiamo su uno specchio e nessuno ci risponde. Siamo in mille, ma siamo sole."

Susanna Tamaro

mercoledì 18 gennaio 2012

Due Poetesse Siciliane Del Secolo XIX



Sono siciliana e fiera di esserlo. La mia terra viene spesso ricordata per quell'ombra che ci portiamo da troppo tempo dietro che si chiama Cosa Nostra, ma la Sicilia è molto di più, è storia, arte, sole, mare, riserve naturali, magnifico cibo, cultura e tradizioni; e ha dei colori, degli odori così unici che raramente li ho ritrovati in altri luoghi. Inoltre la Sicilia è, dopo la Lombardia, la Toscana e la Campania, la regione italiana sede del maggior numero di patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Purtroppo fuori la Sicilia si sono spesso alimentati cliché derivati dagli stereotipi hollywoodiani sul genere de Il padrino che ritraggono la Sicilia come un paese dominato quotidianamente dalla violenza. Non solo sono stati dati per scontati gli stereotipi cinematografici, ma facili generalizzazioni estese all'etnia siciliana, quasi come se tutti i siciliani fossero mafiosi.
La Sicilia è ricca di personalità che dovrebbero fungere da modello di vita per tutto il mondo, come i giudici Falcone e Borsellino, Peppino Impastato e tantissimi altri ancora. Senza dimenticare che la produzione letteraria è stata molto viva nel corso dei secoli, inizialmente grazie alla corte di Federico II con la sua scuola siciliana. Il Siciliano ha trovato alti esempi letterari grazie a grandi poeti e scrittori quali Ignazio Buttitta,  Andrea Camilleri, Luigi Pirandello, Giovanni Verga Leonardo Sciascia, Salvatore Quasimodo. Ricordiamo anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa, famoso per il suo romanzo storico Il Gattopardo. E poi, come sempre, indagando e cercando si trova anche qualche forte personalità femminile che riesce a sorprenderci. Scivolano fuori dalle caselle stereotipate in cui per pigrizia le rinchiudiamo, nella speranza che qualcuno racconti la loro storia.
Si tratta di due poetesse siciliane del secolo XIX e io voglio ricordare la loro vita.


Mariannina Coffa Caruso
Mariannina Coffa Caruso, detta "la capinera di Noto", poetessa, nata a Noto (Siracusa) nel 1841 e morta a 36 anni, fu una bambina sensitiva e precocemente ispirata che il padre, noto avvocato e patriota, impegnato nella rivoluzione del 1848, si compiaceva di fare esibire nei salotti e nelle accademie con le sue poesie improvvisate su temi dettati estemporaneamente. Dopo qualche anno di collegio in cui imparò versificazione e un po’ di francese, le fu messo accanto come precettore un canonico zelante allo scopo di istruirla e disciplinare insieme gli slanci del carattere e dell’estro. Dopo un breve fidanzamento ufficiale con il bell’Ascenso, la famiglia le impose di sposare, a 18 anni, un ricco proprietario terriero di Ragusa, tal Giorgio Morana, che la recluderà nella casa del padre, un vecchio e rozzo despota, il quale le impedirà persino di scrivere, ritenendo che "lo scrivere rende le donne disoneste" ("Lettera di Mariannina ad Ascenso", Ragusa 17-I-1870). Sarà perciò costretta a scrivere le sue poesie di notte, nella sua camera da letto, alla flebile luce di una candela. Intanto, tra gravidanze e cura dei figli e della casa, intreccerà una relazione epistolare con l’orgoglioso fidanzato di un tempo, che non le perdonerà mai, però, la supina resa al volere dei genitori, e sarà costretta a vivere una vita sdoppiata, iscrivendosi nascostamente ad associazioni ed accademie italiane e straniere e pubblicando per riviste nazionali. L’amicizia con un dotto medico siciliano, Giuseppe Migneco, omeopata e magnetista, famoso per le efficaci cure prestate in occasione delle epidemie di colera,la introdurrà ai metodi del sonnambulismo e agli arcani del magnetismo animale o messmerismo, sistemi anatemizzati dal Papa e coltivati all’interno di élites massoniche democratiche. Saranno questi i sistemi, prodromi della successiva matura Psicanalisi, coi quali la poetessa cercherà di curare le malattie e i disagi del suo corpo e della sua psiche. Ne nascerà l’ultima straordinaria, purtroppo breve, stagione poetica, fitta di riferimenti simbolici al "gran concetto" e improntata alla "protesta metafisica", dopo la prima giovanile poesia patriottica di maniera e l’intermedia fase intimista. Prostrata dalle emorragie, abbandonerà la casa ragusana del suocero rifugiandosi a Noto, nella casa dei genitori, che non esiteranno a cacciarla via perché non ricada su di loro il disonore della separazione dal marito e dai figli, e finirà i suoi giorni tra la fame e gli stenti, assistita da un anziano medico omeopata: nessun familiare vorrà pagare le prestazioni di un chirurgo catanese il cui intervento avrebbe potuto probabilmente salvarle la vita. Ai solenni funerali a carico del Comune, che proclamò il lutto cittadino, nessuno della famiglia seguì il feretro, ma una folla di autorità e gente comune accorse a rendere omaggio alla "Saffo netina" che sfilava per l’ultima volta accompagnata dalle insegne solenni della Loggia Elorina.

Giuseppina Turrisi Colonna
Giuseppina Turrisi Colonna è una poetessa dalla vita breve. Nata a Palermo nel 1822, muore di parto nel ´48: è una ragazza di ottima famiglia, educata a sviluppare i suoi talenti. Proprio questa è la sua prima originalità, Giuseppina e la sorella Annetta vengono cresciute per partecipare al mondo ed esserne protagoniste. È una poesia postuma, pubblicata per la prima volta nel 1878 e intitolata "Alla madre", a lasciarci intravedere quel privilegiato sentimento della maternità in cui Emilia Colonna ha educato le sue figlie, gli ideali che ha loro trasmesso: l´amore, l´arte e la patria per Giuseppina e Annetta sono pane quotidiano.Sono entrambe allieve di Giuseppe Borghi, arrivato a Palermo mentre le dispute fra romantici e classicisti erano particolarmente accese e che grande successo ottiene con le sue lezioni sulla Divina Commedia. Su sollecitazione di Borghi, che ha portato la moda dei manzoniani "Inni sacri", Giuseppina compone anche lei alcuni Inni. Ha solo 14 anni e però già scalpita, i suoi "Inni" sono lontani dalla cristiana rassegnazione che in genere trasmettono: scrive di Giuditta liberatrice del suo popolo e si esalta nel rievocarne le imprese, sotto le apparenze del componimento di genere la sua è già poesia civile. All´inizio è solo una ragazzina ben educata, ma ci mette poco a mostrare vero talento e sviluppare una "poesia eroica" che al maestro è del tutto estranea. Così, rifiuta di tradurre Anacreonte perché troppo delicato: preferisce i tormenti di Byron, il suo coniugare assieme poesia e vita da immolare sull´altare della libertà. Nel 1841, a soli 19 anni, Giuseppina Turrisi Colonna pubblica il suo primo volumetto di poesie. Per lontanamente immaginare lo stato d´animo della nostra giovanissima poetessa, dobbiamo considerare un elemento che con la poesia c´entra ben poco e ricordare che nel 1837 il colera aveva provocato migliaia di vittime in tutta la Sicilia, soprattutto a Palermo. Un panorama di desolazione circonda i sopravvissuti, al punto che ricordare il tempo degli antichi eroi non è solo un gioco letterario. È quasi un rimedio, serve a ritrovare la speranza. Giuseppina indica dei modelli, vuole scuotere le coscienze e scrive di Aldruda, che nel 1174 ha guidato gli anconetani suoi concittadini alla liberazione contro tedeschi e veneziani. Scrive di Giovanna d´Arco e sogna di imitarla, di svegliare le "sicane menti". Nel 1843, da Parigi le chiedono un componimento da inserire nel "Parnaso italiano dei poeti contemporanei". È un prestigioso riconoscimento, scrive un´ode "Alle donne siciliane" dove la "caduta funesta" della Sicilia che ha smarrito la via della grandezza e perduto ogni splendore si risolve in un appello alle donne "L´ardire dei Sicani si rifonda in noi" e "Sorgete o care, e nella patria stanza / per voi torni l´ardire e la speranza". Solo le donne possono e devono risollevare le sorti della patria, «Né trastullo né servo il nostro sesso»: l´educazione dei figli è per Giuseppina un altissimo compito, coincidendo con la formazione dei futuri cittadini. Così, la "somma virtù" delle donne molto più di quella degli uomini è necessaria a una patria che ha bisogno di nuova linfa per i suoi figli. E questa tensione, la continua «ambizione per il trionfo del suo sesso» - come scrive Francesco Guardione che fu il suo unico biografo - è qualcosa di veramente nuovo nella società siciliana. Nel mondo di Giuseppina Turrisi Colonna anche la femminilità è eroica, lontana da ogni civetteria.Giuseppina scrive articoli sul polemico giornale palermitano "La ruota" e nel 1846 trascorre l´estate a Firenze, dove con Le Monnier pubblica un secondo volume di poesie lodate dai critici. È fra i primi a superare il soffocante concetto di "patria siciliana" e continua a rivolgersi alle donne, da cui attende un risorgimento morale perché diventi possibile quello politico. E sogna un´Italia unita, senza per questo nemmeno per un momento credere in papa Pio IX perché l´Italia non può rinascere «nelle tenebrose sale del Vaticano».Nel 1848 muoiono entrambe, a tre giorni di distanza l´una dall´altra: Annetta di tisi, Giuseppina nel parto del suo primo figlio.

Mariannina Coffa Caruso



Giuseppina Turrisi Colonna

venerdì 6 gennaio 2012

Dalla lotta per l'aborto alla lotta all'aborto


"L'aborto è un grave peccato. Dovete aiutare molto le donne che hanno abortito. Aiutate loro a capire che è un peccato. Invitatele a chiedere perdono a Dio e ad andare a confessarsi. Dio è pronto a perdonare tutto, poiché la sua misericordia è infinita. Cari figli, siate aperti alla vita e proteggetela." 
"I bambini uccisi nel seno materno sono ora come piccoli angeli attorno al trono di Dio."
"Milioni di bambini continuano a morire a causa dell'aborto. La strage degli innocenti non è avvenuta soltanto dopo la nascita di mio Figlio. Si ripete ancora oggi, ogni giorno." 
(Madonna di Medjugorje - Messaggi durante apparizioni ai veggenti). 
"Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l'aborto è un crimine." (Mahatma Gandhi)




L’approvazione della legge 194 nel 1978, che consente l’aborto alle donne maggiorenni fino al terzo mese di gravidanza, fu una vittoria del femminismo.
Nei primi novanta giorni di gravidanza il ricorso all'aborto è permesso alla donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (art. 4).

L'aborto è uno dei grandi temi su cui la società non smette mai di discutere.
Abbiamo tanto lottato per raggiungere tale diritto, ma ancora adesso l'aborto rimane un problema. Si urla immediatamente che l’aborto è un omicidio e che pertanto colei che ha interrotto la gravidanza è un'assassina. Così la donna si trova ad essere emarginata e guardata come una peccatrice da punire, si trova a dovere affrontare le critiche e i pregiudizi di una società che la giudica senza tenere conto di quelli che sono i suoi diritti.
La decisione di avere o no un bambino è una delle scelte con le conseguenze più pesanti nell'insieme della vita di una donna. Negare l'aborto significa costringerla alla maternità, che al contrario deve essere scelta liberamente.
L'embrione è potenzialmente una persona, e come ci insegna il vecchio Aristotele tra potenza e atto c'è una bella differenza.
Non voglio giudicare chi la pensa in maniera diversa, chi sostiene che l'embrione è già una persona, o chi è contraria all'aborto, poiché per me non è questo l'importante, ritengo che ognuno possa avere le proprie idee e possa liberamente fare le proprie scelte, ma è proprio questo il punto cruciale. Perché privare la donna della possibilità di scelta? Come si può chiedere ad una donna vittima di stupro di mettere al mondo il frutto di quella violenza carnale? Oppure perché dovremmo mettere al mondo figli che non riusciamo a mantenere, o per motivi di salute o per motivi socio-economici?
Con questo non intendo dire che bisogna concepire l'aborto come un "contraccettivo" o affrontare l'argomento con leggerezza poiché non dobbiamo dimenticare che si tratta pur sempre di una scelta complessa e che provoca forte sofferenza nella donna.
Una gravidanza indesiderata va evitata non cercata "tanto si può abortire"!
Ecco perché bisognerebbe educare i giovani ad una corretta e sana sessualità, bisogna conoscere i numerosi metodi contraccettivi che oramai abbiamo a disposizione, senza dimenticare anche la possibilità di dare in affidamento il proprio bambino o la propria bambina a quelle coppie che invece desiderano un figlio o una figlia. L'unica cosa su cui bisognerebbe lottare, ma di cui in Europa se ne parla molto poco è l'aborto selettivo, volto ad eliminare i feti femmine.
Chiaramente non possono essere accettate motivazioni del genere. Il papa sostiene che non c’è pace se c’è aborto, io dico che non c'è pace senza il pieno possesso dei propri diritti. Dobbiamo avere una mente più libera, pensante e critica, non dobbiamo più essere vittime di quel pensiero che ci rende schiavi/e dell'ignoranza. Non possiamo lasciarci condizionare dal fatto che la chiesa cattolica è contro il profilattico poiché interrompe una possibile procreazione, al contrario dobbiamo educare i nostri figli a usarlo, non solo per evitare gravidanze indesiderate ma anche per prevenire di contagiare o essere contagiati da malattie mortali. I genitori devono comprendere che i figli crescono e loro stessi devono aiutarli a conoscere quali sono i contraccettivi che hanno a disposizione.
L'aborto è un diritto inalienabile della donna ed è un dato di fatto, che a qualcuno dovrà prima o poi interessare.