lunedì 31 dicembre 2012

Addio al premio Nobel Rita Levi Montalcini

Si è spenta oggi, una tra le donne più preziose di cui ha disposto il genere umano: Rita Levi Montalcini, scienziata, neurologa, senatrice a vita e Premio Nobel per la medicina. Come afferma la nipote "si è spento un faro di vita".



E' stata una donna che ha dedicato la sua esistenza per gli altri, facendo scoperte di primaria importanza per l’umanità:

Dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente. Non temete le difficoltà: io ne ho passate molte, e le ho attraversate senza paura, con totale indifferenza alla mia persona.
Negli anni Cinquanta le sue ricerche la portarono alla scoperta e all'identificazione del fattore di accrescimento della fibra nervosa o NGF, scoperta per la quale è stata insignita nel 1986 del premio Nobel per la medicina. Insignita anche di altri premi, è stata la prima donna a essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze. Il 1º agosto 2001 è stata nominata senatrice a vita «per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale». Era socia nazionale dell'Accademia dei Lincei per la classe delle scienze fisiche e tra i soci fondatori della Fondazione Idis-Città della Scienza.

E' stata sempre molto attiva in campagne di interesse sociale, per esempio contro le mine anti-uomo o per la responsabilità degli scienziati nei confronti della società e anche particolarmente sensibile anche nei confronti dei temi della difesa dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile.
Inoltre nel 1992 ha istituito, assieme alla sorella gemella Paola, la Fondazione Levi Montalcini, in memoria del padre, rivolta alla formazione e all'educazione dei giovani, nonché al conferimento di borse di studio a giovani studentesse africane a livello universitario, con l'obiettivo di creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella vita scientifica e sociale del loro paese.

Rita Levi Montalcini è stata sicuramente una donna emancipata, forte e determinata che seppur provenisse da una famiglia con abitudini fortemente conservatrici, con chiare imposizioni sociali e ruoli ben definiti tra uomini e donne, e con un padre che la osteggiò non poco, convinto che una carriera professionale avesse interferito con i doveri di una moglie e di una madre, decise di iscriversi a medicina all'università di Torino e questa sua grande forza di volontà le ha permesso di diventare ciò che per noi donne è oggi: modello e fonte di ispirazione.

Grazie Rita Levi Montalcini, noi ti ricorderemo così:

"Geneticamente uomo e donna sono identici. Non lo sono dal punto di vista epigenetico, di formazione cioè, perchè lo sviluppo della donna è stato volontariamente bloccato" 

giovedì 27 dicembre 2012

Il folle discorso di Natale

Qualche giorno fa ho letto un articolo di Bruno Volpe sul blog Pontifex, pericolosissimo poiché offriva una giustificazione al fenomeno della violenza sulle donne, scaricando le colpe sulla libertà che oggi godono le donne e promuovendo l'importanza del ritorno di queste al proprio ruolo di madri e mogli. 

"Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti e che il cervello sia partito? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell'arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti.
Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici e da portare in lavanderia, eccetera... Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (FORMA DI VIOLENZA DA CONDANNARE E PUNIRE CON FERMEZZA), spesso le responsabilità sono condivise.
Quante volte vediamo ragazze e anche signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti?
Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre, nei cinema, eccetera?
Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e se poi si arriva anche alla violenza o all'abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni), facciano un sano esame di coscienza: <<forse questo ce lo siamo cercate anche noi?>>"

Naturalmente queste tesi non sono passate inosservate tanto che qualche giorno dopo un parroco di San Terenzio, piccolo paese ligure, si è ispirato proprio alle parole del Pontifex esponendo sulla bacheca della chiesa un articolo dal titolo "Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?"
Il volantino, in sostanza, scarica le responsabilità della violenza sulle donne, al comportamento delle donne; il volantino 'accusa' le donne di meritarsi il peggio per essersi allontanate dalla virtù e dalla famiglia
Ovviamente, e per fortuna, neanche l'azione di Don Corsi è passata inosservata, facendo scoppiare una vera e propria bufera che ha spinto il parroco a chiedere pubbliche scuse, dopo avere definito le sue (a nostro parere) idee folli come "imprudente provocazione".

La reazione più accesa alle parole del sacerdote viene dal presidente di Telefono Rosa Maria Gabriella Carnieri Moscatelli: "Intervenga subito il Papa e il vescovo di La Spezia e sia rimossa quella dannata lettera". "Questo messaggio è una vera e propria istigazione a un comportamento violento nei confronti delle donne perché si offre un'inaudita motivazione ad atti criminali contro di esse. In Italia, che è il Paese con il maggior numero di femminicidi d'Europa e ha un altissimo numero di violenze consumate all'interno delle mura domestiche, un episodio come questo non è piu tollerabile".
Anche il vescovo ha sottolineato il suo sdegno: «In nessun modo - aggiunge il vescovo - può essere messo in diretta correlazione qualunque deprecabile fenomeno di violenza sulle donne con qualsivoglia altra motivazione, nè tantomeno tentare di darne una inconsistente giustificazione»
Nella bufera che travolge il prete, l'unica voce a favore è proprio quella di Pontifex.it, nel quale troviamo un articolo in cui Volpe si complimenta con quest’ultimo: 

La tesi di Volpe, che tempo fa fu arrestato per stalking e molestie sessuali contro una giovane donna di cui si era invaghito, a cui si ispira don Corsi e ampiamente sostenuta da quest’ultimo, è stata pubblicata nel giorno di Natale, dove alle donne che sono andate a messa non hanno ricevuto calorosi auguri ma sono state accusate di essersi allontanate dalla famiglia, di aver perso la loro dignità e di meritare dunque le violenze di cui sono vittime.  
"Finalmente un parroco che parla chiaro, che non si tira indietro, che non nega le sue responsabilità. Parliamo di Don Piero Corsi, parroco a Lerici, vicino Genova. Sul trito tema del femminicidio (una assurda leggenda nera messa in giro da femministe senza scrupoli) il Parroco si chiede in un messaggio affisso alla bacheca della chiesa: “è colpa della donna che provoca con abiti succinti. Le donne facciano autocritica, quante volte provocano, cadono nell’arroganza e si sentono indipendenti? Se lo sono andate a cercare”. Fatta la tara di una certa esuberanza, il parroco conforta, come fanno in molti e come le cronache ci insegnano, le tesi esposte da Pontifex e dal buon senso comune. La storiella del femminicidio non regge, fa acqua da tutte le parti.”

Tuttavia Don Piero nonostante le polemiche oggi non ha fatto marcia indietro. Intervistato da Paolo Poggio del Gr2, ha continuato ad attaccare le donne ed ha dato dell'omosessuale al giornalista . "Lei ha scritto che le donne devono fare autocritica perché provocano, o non lo ha scritto?", ha chiesto il giornalista Rai. "Lei capisce che se una frase la sgancia dal prima e dal dopo, può far dire molte cose diverse da quel che sta dicendo" risponde il sacerdote, che poi attacca: "Cioè scusi, quando lei vede una donna nuda, cosa prova? Quali sentimenti prova, quali reazioni prova? Non so se è un frocio anche lei o meno, cosa prova quando vede una donna nuda? Non è violenza da parte di una donna mostrarsi in quel modo lì?"

E' quindi del tutto evidente che le scuse date dal parroco siano del tutto false e non sentite, ma d'altronde poco ci importa. Le scuse di un uomo con simile idee non servono davvero a nulla, perché Don Corsi non è neanche degno di parlare di noi donne.

Dopo tutta questa vicenda mi è venuto in mente un film molto interessante che cade a pennello in questo momento. "Sotto Accusa" è un film drammatico del 1988 diretto da Jonathan Kaplan con protagoniste Jodie Foster e Kelly McGillis. La Foster vinse per la sua interpretazione un Oscar e un Golden Globe come miglior attrice. Il film, che include una sequenza traumatizzante e realistica della violenza a Sarah Tobias su di un flipper, è stato uno dei primi lavori di Hollywood a testimoniare così esplicitamente il tema dello stupro.

Ispirato a un fatto autentico avvenuto in un bar di New Bedgord, Massachusetts, nel 1983, il film racconta la storia di Sarah Tobias, cameriera in un bar con una pessima reputazione, che viene violentata una sera nel locale da tre ragazzi tra l'incitamento generale degli avventori. Il procuratore Kathryn Murphy si occupa del caso e accetta un patteggiamento per lesioni colpose (escludendo così lo stupro) per i tre aggressori. Spinta dalla vittima però, con la quale instaura pian piano un rapporto di solidarietà, si rende conto di aver condotto superficialmente il caso e decide di portare in tribunale anche tutti gli uomini che hanno istigato i tre alla violenza. Paradossalmente sotto accusa sarà anche la giovane protagonista per averli provocati.
La protagonista non è presentata come una persona perfetta, virtuosa e casta, ma come una donna i cui atteggiamenti possono non piacere, eppure si dimostrerà una donna dalla fortissima personalità.
Scrive il Morandini: 
  1. Lo stupro è l’unico crimine in cui la parola della vittima è per sistema messa in dubbio; 
  2. I suoi autori – e i loro familiari – non si sentono colpevoli, considerandolo spesso una prova di virilità;  
  3. Si tende a rimproverare alle donne “di essere andate a cercarlo”.
Troppe donne sono morte quest'anno e troppe ancora ne moriranno se continuiamo ad ignorare il problema o ad attribuire colpe a chi invece non ne ha. Facciamo in modo che la violenza sulle donne cessi di essere l'unico crimine in cui la vittima deve dimostrare la sua innocenza.

Il femminicidio è una vera disgrazia per poter ignorare!



domenica 23 dicembre 2012

La bambola a transistor: Un augurio di Natale e di felice anno nuovo, speciale

Anche quest'anno è giunto al termine e non possiamo di certo affermare che per noi donne sia stato un anno felice o ricco di soddisfazioni. Più di 100 donne uccise per mano di mariti o ex. Vale la pena continuare a sperare in anni migliori o in qualche cambiamento? Nonostante la triste la realtà la risposta deve essere si e la speranza deve tramutarsi in un impegno costante e quotidiano sia di uomini che di donne.
Ecco perché sento di fare gli auguri a tutti: uomini, bambini/e, credenti e non credenti, ma soprattutto il mio augurio di buon Natale e in particolar modo di buon anno è rivolto a tutte le donne.
A tutte le donne tenaci, che continuano a lottare per far diventar il mondo un mondo anche per donne.
A tutte le donne che continuano a guardare lontano e con i loro gesti quotidiani cercano di realizzare una maggiore libertà e pienezza femminile;
Auguri alle donne che stanno per diventare mamme;
Auguri a tutte le donne lavoratrici che sgomitano in un mondo di maschi;
Auguri alle donne che non si sottomettono al sistema ma continuano ad essere sia lavoratrici che madri;
Auguri alle donne che non vogliono essere un oggetto appagante per i sensi maschili, ma che riconoscono la propria dignità e competenze;
Auguri alle donne che si impegnano per cambiare la nostra società;
Auguri a tutte le donne vittime di violenza in Italia e nel mondo, per far sapere loro che non sono sole.
Auguri a tutte le donne che ancora non hanno aperto gli occhi e continuano a trattare se stesse come oggetto, credendo che il loro apparire sia l'unica cosa che conta.

Un augurio speciale va alle lettrici e lettori di questo blog e per farlo mi è venuta in mente una divertente novella di Rodari nella quale si parla di una bambola modernissima (con lavatrice incorporata) che viene regalata a Natale ad una bimba di nome Enrica. Questa bambola, manomessa da uno zio mago e burlone, impazzisce: manda all'aria il servizio da tè della sua padroncina, si taglia i capelli, si arrampica sull'albero di Natale distruggendolo e facendo persino sopra la pipi. Poi fa una dichiarazione “femminista”, una sorta di “testamento”, prima di essere disattivata dai preoccupati genitori della bimba e di ritornare ad essere una brava ed educata bambola che fa il bucato. Lo spunto a questa novella Rodari lo ebbe pensando a quei giocattoli che contribuiscono a condizionare i bambini per adattarli, fin da piccoli, ai loro ruoli sessuali. La bambola è un giocattolo antichissimo e meraviglioso, ricco di significati e di simboli. Sarebbe veramente bello se tutte le mamme o future mamme traessero spunto da questa novella per comprendere come i bambini e le bambine devono essere liberi/e di sfogare la propria fantasia come meglio credono e che non ci suono ruoli stereotipati nei quali essere inseriti.

Buona lettura:



Allora, - domanda il signor Fulvio alla signora Lisa, sua moglie e al signor Remo, suo cognato, - che cosa regaliamo a Enrica per Natale?
Un bel tamburo, - risponde prontamente il cognato Remo.
Cosa?!
Ma si, una bella grancassa. Con la mazza per picchiarci sopra. Bum! Bum!
Dai, Remo! - dice la signora Lisa (per la quale però il signor Remo non è un cognato, ma un fratello). - Una grancassa tiene troppo posto. E poi, chi sa cosa direbbe la moglie del macellaio. .
Sono sicuro, - continua il signor Remo, - che a Enrica piacerebbe moltissimo un portacenere di ceramica colorata a
forma di cavallo, con intorno tanti portacenerini piccini piccini, anche loro di ceramica colorata, ma a forma di caciocavallo
Enrica non fuma, - osserva severamente il signor Fulvio. 
Ha appena sette anni.
Un teschio d'argento, - propone allora il signor Remo, - un portalucertole d'ottone, un apritartarughe a forma di angioletto, uno spruzzatore di fagioli a forma d'ombrello.
Dai, Remo, - dice la signora Lisa, - parliamo sul serio.
Va bene. Sul serio. Due tamburi: uno in do e uno in sol.
So io, - dice la signora Lisa, - quello che ci vuole per Enrica. 
Una bella bambola elettronica a transistor, con la lavatrice incorporata: una di quelle bambole che camminano, parlano,
cantano, controllano le conversazioni telefoniche, captano le trasmissioni in stereofonia e fanno pipi.
D'accordo, - proclama il signor Fulvio, nella sua qualità di capofamiglia.
lo me ne infischio, - questo è il signor Remo, - e .vado a letto a dormire tra due guanciali.
Ed ecco, dopo pochi giorni, il Santo Natale, con tanti bei prosciutti appesi fuori dei negozi e tanti magnifici portacenere a forma di Piccolo Scrivano Fiorentino nelle vetrine e tanti zampognari, veri e falsi, per le strade. 
Neve sull'arco alpino e nebbia in VaI Padana.
La bambola nuova è già li che aspetta Enrica sotto l'albero di Natale. Lo zio Remo (si tratta sempre dello stesso Remo,
il quale per il signor Fulvio è un cognato, per la signora Lisa un fratello, per la portiera un ragioniere, per il giornalaio un
cliente, per il vigile urbano un pedone e per Enrica, giustappunto, uno zio: quante mai cose può essere una sola persona!), dunque, lo zio Remo osserva la bambola con un sogghigno.
Bisogna sapere, di nascosto da tutti, che egli compie severi studi di magia: può spaccare un portacenere di travertino con una semplice occhiata, tanto per fare un esempio. Egli tocca la bambola in due o tre punti, sposta qualche transistor, sogghigna di nuovo e infine se ne va al caffè, mentre arriva di corsa Enrica, lanciando grida di gioia, che i genitori ascoltano con delizia dietro la porta chiusa.
Bella, bella, - dichiara Enrica, al colmo dell'entusiasmo. 
Ti preparo subito colazione.
Rovistando febbrilmente nell'angolo dei giocattoli, essa ne cavatI un ricco apparato di chicchere, piattini, bicchierini,
vasetti, bottigliette, eccetera, che dispone sul tavolinetto delle bambole. Fa camminare la bambola nuova fino al suo posto, la fa chiamare «mamma» e «papà» due o tre volte, le allaccia il tovagliolo al collo e si prepara a imboccarla. 
Ma la bambola, appena lei si volta un momentino, spara un paio di calci che mandano all'aria tutto l'apparecchio. 
Piattini che vanno in pezzi. Chicchere che rotolano sul pavimento del condominio e vanno a sfracellarsi contro il termosifone. Cocci.
Naturalmente accorre la signora Lisa, pensando che Enrica si sia fatta male. Arriva, crede a quello che vede e senza perder tempo sgrida per bene la figlia, chiamandola «brutta cattiva» ed aggiungendo: - Ecco, proprio il giorno di Natale mi devi combinare disastri. Guarda che se non stai attenta ti porto via la bambola e non la vedi più.
Poi va in bagno.

Enrica, rimasta sola, acchiappa la bambola, le dà un paio di sculacciate, la chiama «brutta cattiva» e la rimprovera di combinare disastri proprio il giorno di Natale: - Guarda che se non fai la brava, ti chiudo nell'armadio e non esci più.
 Perché? - domanda la bambola.
Perché hai rotto i piattini.
Non mi piace giocare con quelle cretinate li, - dichiara la bambola. - Fammi giocare con le automobiline.
Te le do io le automobiline! - annuncia Enrica, e le rilascia altri sculaccioni. La bambola non s'impressiona e le tira i 
capelli. 
Ahi! Ma, perché mi picchi?
Legittima difesa, - dice la bambola. - Sei tu che mi hai insegnato a picchiare, picchiandomi per la prima. lo non avrei saputo come fare.
Bè, - dice Enrica, per sviare il discorso, - giocheremo alla scuola. lo ero la maestra e tu la scolara.
Questo era il quaderno. Tu sbagliavi tutto il dettato e io ti mettevo quattro.
Cosa c'entra il numero quattro? .
C'entra, si. È cosi che fa la maestra a scuola. A chi fa bene, dieci; a chi fa male, quattro.
Perché?
Perché  così  impara. 
MI fai rIdere. 
Naturale, - dice la bambola. - Rifletti. Ci sai andare in bicicletta?
Certo!
E quando stavi imparando e cascavi, ti davano un quattro, oppure ti mettevano un cerotto?
Enrica tace, perplessa. La bambola incalza: - Pensaci un momento, su. 
Quando imparavi a camminare e facevi un capitombolo, forse la mamma ti scriveva quattro sul sedere?
No.
Ma a camminare hai imparato, a parlare, a cantare, a mangiare da sola, ad allacciarti i bottoni e le scarpe, a lavarti i denti e le orecchie, ad aprire e chiudere le porte, a usare il telefono, il giradischi e la televisione, a salire e scendere le scale, a lanciare la palla contro il muro e riprenderla, a distinguere uno zio da un cugino, un cane da un gatto, un frigorifero da un portacenere, un fucile da un cacciavite, il parmigiano dal gorgonzola, la verità dalle bugie, l'acqua dal fuoco. Senza voti, né belli né brutti. Giusto?
Enrica lascia cadere il punto interrogativo e propone: - Allora ti lavo la testa.
Sei matta? Il giorno di Natale - Ma io mi ci diverto, a lavarti la testa.
Tu ti ci diverti, ma a me mi va il sapone negli occhi.
Insomma, sei la mia bambola e con te posso fare quello che voglio io. Capito? 
Questo «capito» fa parte del vocabolario del signor Fulvio.
Anche la signora Lisa, qualche volta, conclude i suoi discorsi con un bel «capito»? Adesso tocca a lei, a Enrica, far valere la propria autorità padronale.  Ma la bambola, a quanto pare, se ne infischia. Essa si arrampica in cima all'albero di Natale, facendo scoppiare svariate lampadine di diversi colori. Quando è in cima fa pipi, bagnando altre lampadine a forma di Biancaneve e dei Sette Nani.
Enrica, per non litigare, va alla finestra. In cortile i bambini giocano al pallone. Hanno monopattini, tricicli, archi e frecce.
Anche i birilli. - Perché non vai in cortile a giocare con gli altri bambini? - domanda la bambola, mettendosi le dita nel naso per sottolineare la propria indipendenza.
Sono tutti maschi, - dice Enrica, mortificata. - Fanno giochi da maschi. Le bambine debbono giocare con le bambole.
Debbono imparare a fare le brave mammine e le brave padrone di casa, che sanno mettere a posto i piattini e le chiccherine, fare il bucato e lucidare le scarpe della famiglia.
La mia mamma lucida sempre le scarpe del mio papà. Gliele lucida di sopra e di sotto.
Poveretto!
Chi?
 Il tuo papà. Si vede che è senza braccia e senza mani..
Enrica decide che è il momento di dare due schiaffi alla bambola. 
Per raggiungerla, però, deve arrampicarsi sull'albero! di Natale. L'albero, da quel vero 'incapace che è, ne approfitta
per crollare a terra. Vanno in frantumi le lampadine e gli angeli di vetro: un cataclisma.
La bambola è finita sotto una sedia e pensa bene di mettersi a sghignazzare. 
Però è la prima a tirarsi su e corre a vedere se Enrica si è fatta male.
Ti sei fatta male?
Non dovrei neanche risponderti, - dice Enrica. - È tutta colpa tua. Sei una bambola maleducata. Non ti voglio piu.
Finalmente! - dice la bambola. - Spero che adesso giocherai con le automobiline.
Neanche per sogno, - annuncia Enrica. - Prenderò la mia vecchia bambola di pezza e giocherò con quella.
Davvero!? - dice la bambola nuova. Si guarda intorno, vede la bambola di pezza, l'acchiappa e la butta dalla finestra senza nemmeno aprire i vetri.
Giocherò con il mio orsacchiotto di pelo, - insiste Enrica.
La bambola nuova cerca l'orsacchiotto di pelo, lo trova, lo butta nel bidone delle immondizie. 
Enrica scoppia in pianto.
I genitori odono e accorrono, giusto in tempo per vedere la bambola nuova che si è impadronita delle forbici e sta tagliuzzando tutti i vestiti del guardaroba delle bambole.
Ma questo è puro vandalismo! - esclama il signor Fulvio.
Povera me, - aggiunge la signora Lisa. - Credevo di aver comprato una bambola e invece ho comprato una strega!
Entrambi si gettano sulla piccola Enrica, la prendono in braccio a turno, l'accarezzano e la coccolano, la sbaciucchiano.
Puah! - dice la bambola dall'alto dell'armadio su cui si è rifugiata per tagliarsi i capelli, che per i suoi gusti sono troppo
lunghi.

Ma senti, - inorridisce il signor Fulvio. - Dice anche: Puah!
Questa può avergliela insegnata solo tuo fratello.
Il signor Remo compare sulla porta, come se lo avessero mandato a chiamare. Gli basta un'occhiata per capire la situazione. La bambola gli strizza l'occhio.
Cosa succede? -domanda lo zio, fingendo di cadere da una nuvola rosa. .
Quella li, - singhiozza la povera Enrica, - non vuole fare la bambola! Chi sa cosa si crede di essere.
Voglio andare in cortile a giocare ai birilli, - dichiara la bambola, facendo volare ciocche di capelli da tutte le parti.
Voglio una grancassa, voglio un prato, un bosco, una montagna e il monopattino. Voglio fare la scienziata atomica, il
ferroviere e la pediatra. Anche l'idraulico. E se avrò una figlia, la manderò al campeggio. E quando la sentirò dire:
«Mamma, voglio fare la casalinga come te e lucidare le scarpe di mio marito, di sopra e di sotto», la metterò in castigo in piscina e per penitenza la porterò a teatro.
Ma' è proprio matta! ~ osserva il signor Fulvio. - Forse le si è guastato qualche transistor.
Dài, Remo, - prega la signora Lisa, - dalle un'occhiata, tu che te ne intendi.
Il signor Remo non si fa pregare a lungo. E nemmeno la bambola. Essa gli vola addirittura in testa, dove si mette a fare i salti mortali.
Il signor Remo la' tocca qui e là, in punti diversi e in altri ancora. La bambola diventa un microscopio.
Hai sbagliato, - dice la signora Lisa.
Il signor Remo tocca ancora. La bambola diventa una lanterna magica, un telescopio, un paio di pattini a rotelle, un tavolo da ping-pong.
Ma cosa fai? - chiede il signor Fulvio al cognato. - Adesso la rovini del tutto. S'è mai vista una bambola che sembra un
tavolo?
Il signor Remo sospira. Tocca di nuovo. La bambola ridiventa una bambola. Ha di nuovo i capelli lunghi e la lavatrice incorporata.
Mamma, - dice, ma stavolta con voce da bambola. -Voglio fare il bucato.
Oh, finalmente! - esclama la signora Lisa. - Questo si che si chiama parlare. Su, Enrica, gioca con la tua bambola. 
Sei in tempo a fare un bel bucatino prima di pranzo.
Ma Enrica, che tutto questo è stata a vedere e ascoltare, ora sembra incerta sul da farsi. 
Guarda la bambola, guarda lo zio Remo, guarda i genitori. Finalmente caccia un sospirone e dice: - No, voglio andare in cortile a giocare a birilli con gli altri bambini. E forse farò anche il salto mortale.