sabato 26 maggio 2012

La storia di Valentina Pitzalis

Valentina Pitzalis il 17 Aprile 2011 è sopravvissuta a un tentativo di omicidio da parte del marito, che l'ha cosparsa di cherosene e le ha dato fuoco, dal quale era separata da oltre un anno.
Lui è morto, lei ha lottato contro le gravi ustioni ed è sopravvissuta. Valentina ha subito più di 20 interventi per asportare le parti ustionate e poi per salvare i tessuti profondi. Al Centro Grandi Ustioni sono riusciti a salvarle le cornee e a farle recuperare perfettamente la vista.
Giovedì 24 Maggio dagli studi di Rai Uno de “La vita in diretta”, la storia di Valentina Pitzalis ha raggiunto i milioni di telespettatori che seguono la trasmissione condotta con Mara Venier. Il tema della puntata era quello delle donne vittime di violenza e le ospiti che hanno affiancato la giovane di Carbonia erano Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno. La showgirl e l'avvocato, infatti, sono le fondatrici di Doppia difesa, la fondazione nata proprio per difendere le donne vittime di ogni tipo di violenza: «Donne che tengono il dolore dentro le mura domestiche - ha detto Giulia Bongiorno - e che noi vogliamo aiutare a uscire allo scoperto».



Ciò che sorprende più della giovane Valentina, Patricia Lefranc, Fakhra Younas  e tante altre ancora, è la loro capacità di perdonare e non provare rancore verso il loro aggressore.
La storia di Valentina deve essere un esempio per tutte le donne che rinunziano alla propria vita, ai propri diritti e ai propri spazi, solo per andare "incontro all'altro", non bisogna accondiscendere o volere a tutti i costi aiutare la persona che amiamo ma che è in grado di vivere solo un "amore" malato, al contrario dobbiamo renderci conto che noi non possiamo fare nulla, ma che invece è necessario l'intervento di persone competenti e del mestiere. Questo è l'unico aiuto che possiamo dare a chi non sa cosa significa Amare, e renderci conto che la colpa non è nostra.
«Lui mi ha fatto una cosa mostruosa ma non era un mostro - ha detto più volte la giovane - siamo stati entrambi vittime di un amore malato che non abbiamo saputo riconoscere. Vorrei essere un esempio per le donne, vorrei che capissero che certi problemi vanno affrontati il prima possibile. Io non l'ho fatto e il mio viso e il mio corpo oggi raccontano quanto mi è costato. Ma non mi piango addosso e non provo odio per alcuno, ora voglio ricominciare a sorridere, rivoglio la mia vita».
Ricominciare significa curare un corpo offeso dal fuoco. Per chi volesse aiutare Valentina ad affrontare senza problemi economici il suo percorso terapeutico, o per chi volesse soltanto sostenerla psicologicamente, segnalo la sua pagina di Facebook: https://www.facebook.com/UnSorrisoPerVale e anche il sito di "Doppia difesa":http://www.doppiadifesa.it/?p=2387

Credo non ci sia bisogno di aggiungere altro ma vi invito a guardare il video tratto dal programma "La Vita in diretta":


giovedì 17 maggio 2012

Prospettiva Queer


Che cos’è la normalità? Domanda che magari non ci poniamo mai, o non ci preoccupiamo di darne una risposta, o forse una risposta non esiste.
Tuttavia giornalmente usiamo questa espressione e sarebbe il caso di chiedersi il perché e che cosa significa realmente per noi.
Di certo “normale” per definizione è tutto ciò che è tradizionalmente accettato e trasmesso in maniera a-critica; viviamo in una società fondata sul senso comune, che tende inconsapevolmente a diffondere pregiudizi che hanno come conseguenza l’esclusione sociale di alcuni, ritenuti anormali poiché si allontanano dalla cosiddetta norma. Il problema è che le convenzioni che si stabiliscono tra gli esseri umani si fondano sull'aspettativa che gli altri individui si comportino nel modo che tra noi è normale.
Quindi sembra quasi che questo concetto di normalità divenga uno strumento di discriminazione e di esclusione. E allora sorge spontanea la domanda: cosa c’è di normale in tutto ciò?
Oggi, 17 Maggio si celebra la Giornata Internazionale contro l’omofobia e la transfobia, in ricordo del 17 Maggio 1990  in cui l’omosessualità venne rimossa dalla lista delle malattie mentali da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In una giornata così importante sento di invitare tutte e tutti noi ad adottare una nuova visione del mondo che ci permetta di andare oltre i nostri classici assiomi culturali che ci rendono schiavi di un pensiero passivo e acritico. "Queer" è un termine della lingua inglese che tradizionalmente significa "strano", "insolito". L’uso del termine nel corso XX secolo ha subito diversi e profondi cambiamenti, tanto che adesso è divenuto un termine ombrello all'interno del quale si fa riferimento a quelle persone il cui orientamento sessuale e/o identità di genere differisce da quello strettamente eterosessuale: gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, transgender e/o intersessuati. La prospettiva Queer nasce con l’intento di sradicare qualsiasi normatività sessuale dando cosi ad ognuno la possibilità di “essere ciò che si è”, e dunque è un diverso modo di vedere e filtrare il mondo.
La nostra società sente sempre il bisogno di imporre la supremazia del "vero uomo". Se ci guardiamo intorno o leggiamo i giornali sentiamo di continue aggressioni contro Gay, basti pensare a Daniel Zamudio che a Santiago del Cile è stato pestato, ferito e preso a pietrate solo perché omosessuale.
Cresciamo nell'ombra di questa virilità intesa come violenza, dominio, sopraffazione perpetrata ai danni di chi viene ritenuto debole, ovvero donne e omosessuali.
Il problema è che non siamo in grado di proporre modelli di maschilità e femminilità diversificati, quando invece dovremmo permettere uno sviluppo armonico della maschilità senza picchiare il compagno gay o fare battute misogine. Bisogna educare ad una maschilità sana, varia e soprattutto è necessario comprendere il vero significato di essere uomo e donna. Parliamo ai giovani di Gandhi oppure di Harvey Milk. Scommetto che le nuove generazioni non sanno neanche chi sia Milk e che cosa abbia rappresentato per il mondo, un uomo che attraverso la non violenza e la militanza politica è riuscito a difendere i diritti degli omosessuali diventando un simbolo di speranza per tutte le persone oppresse ed emarginate solo perchè considerate diverse. La vicenda di Milk, primo gay dichiarato ad essere eletto ad una carica politica negli Stati Uniti, è importante anche perché permette di comprendere quanto sia fondamentale uscire dal nascondiglio (Coming Out), venire fuori avendo il coraggio di dichiarare il proprio orientamento sessuale. Naturalmente prima di dichiararsi alla società è necessario compiere un Coming Out interiore, ovvero accettare la propria condizione e comprendere che questa non può e non deve essere da ostacolo nella vita con gli altri e nella realizzazione di se stessi. Ecco perché è, a mio parere, necessario non avere paura nel dichiarare il proprio orientamento sessuale, solo così si potranno estirpare diversi pregiudizi, poiché molto spesso la società ritiene che gli omosessuali siano più unici che rari, e magari non verrebbe mai in mente che un medico o un avvocato o un attore possa essere omosessuale. Bisogna comprendere che il talento, le potenzialità e il carattere di una persona hanno poco a che vedere con il fatto di essere eterosessuale o omosessuale.

Ormai assistiamo sempre più di frequente ad affermazioni quali: “si, possono sposarsi gli omosessuali, ma non possono avere figli, perché come fanno i bambini a crescere con due genitori dello stesso sesso?” Ogni giorno compiamo un processo di “naturalizzazione” che non è altro che un processo di eternizzazione, ovvero il rifiuto di accettare un cambiamento, e lasciare lo status quo delle cose solo perché ritenuti naturali,  e ciò va ovviamente contro la storia, quale scienza del cambiamento. La naturalità entra nel senso comune e non ci permette di capire che ogni cosa, a partire dalle legislazioni, sono frutto del loro tempo e che dunque arriva un momento in cui vanno migliorate. Noi al contrario respingiamo il cambiamento semplicemente per paura che questo possa sconvolgere il nostro equilibrio.

Sono del parere che tanto peso ha avuto nel diffondere l’omofobia la chiesa cattolica, i cui valori non hanno niente a che fare con i valori evangelici di amore, tolleranza, rispetto incondizionato verso l’altro. La chiesa ripristina la naturalità della famiglia ovvero solo uomo e donna possono creare un nucleo familiare. La chiesa è sessuofobica, poiché il rapporto sessuale deve essere volto solo alla procreazione e di conseguenza l’atto omosessuale è  abominio perché contrario alla "legge naturale" e dunque precludente al "dono della vita”. Tuttavia sappiamo bene che moltissime coppie etero sposate non possono avere figli, ma ovviamente hanno rapporti sessuali e non per questo sono esseri abominevoli. A questo punto mi chiedo se la chiesa cattolica sia davvero nella posizione di potere parlare di naturalità. Cosa c’è di naturale nella caccia alle streghe? Cosa c’è di naturale nell’Inquisizione? Cosa c’è di naturale nel celibato ecclesiastico?
Cosa c’è di naturale nella mortificazione del corpo e dei sensi? Con quale coraggio si possono giudicare anormali gli omosessuali?
La famiglia composta da madre e padre è solo una categoria, un organizzazione che ci siamo imposti e che è del tutto arbitraria.
Basti pensare al mondo greco, il mondo dei filosofi per eccellenza, che amavano la persona in quanto tale, la loro anima, poco importava se uomini o donne. La cosa che si dovrebbe sperare per ogni bambino/a che viene al mondo è di nascere in una famiglia vera, dove per vera non intendo eterosessuale o omosessuale ma intendo una famiglia che sappia dare amore, poiché questa è l’unica cosa che conta. Come dice padre Cosimo Scordatobisogna avere rispetto per gli omosessuali, perché quello che conta è l’amore, e loro amano al pari degli etero”. Non ci sono elementi di carattere scientifico che possano dimostrare che due persone dello stesso sesso non possono essere dei bravi genitori responsabili.
L’amore è l’unica cosa naturale, tutto il resto sono solo convenzioni.

E' importante vivere in una società aperta che trae vantaggio dalla diversità non percependola più come un pericolo o una minaccia da estirpare bensì come un valore, una risorsa e un diritto da difendere e preservare. Se non c’è differenza c’è omologazione, è arrivato il momento di rifiutare la dimensione del “o-o” e abbracciare l’ottica della convivenza “e-e”. 
Il pregiudizio non è innato, ha piuttosto il suo fondamento nelle influenze familiari, ambientali, sociali, e si struttura già dalla prima infanzia e se è vero che la cultura è parte integrante della natura umana allora credo che fondamentale sia l’azione della scuola, di un’educazione che cominci sin dai bambini e che faccia leva anche sui genitori, è necessaria più informazione.


Bisogna prevenire l’omofobia e la transofobia nelle scuole primarie e d’infanzia, perché è compito dell’istruzione e dell’educazione rimuovere ogni forma di intolleranza. Ovviamente dietro deve esserci una buona preparazione degli insegnanti, che non devono eclissare le possibilità di affrontare tali discorsi, ma anzi devono cercare il pretesto per farlo, bisogna loro fornire strumenti per sapere affrontare tali argomenti e dunque costruire progetti didattici. Ecco perché ci vuole un miglioramento in genere delle istituzioni compresi i mass-media che con la mercificazione del corpo femminile non fanno altro che alimentare la cultura machista e omofoba. Sembra un utopia ma non lo è, sono convinta che l’essere umano abbia tutti gli strumenti per raggiungere ogni obiettivo, se le cose non si fanno è perché oltre ad esserci omofobia, ritengo ci sia molta indifferenza. La parte della società che non è omofoba molto spesso è del tutto indifferente ai problemi di gay, lesbiche, transessuali e bisex, li accettano ma non si preoccupano minimamente se i loro diritti sono calpestati. Ognuno di noi è troppo preso da se stesso ed è distratto, noncurante. Bisogna cominciare ad “accorgersi dell’altro/a”, non dobbiamo dare per scontata la sessualità della persona che abbiamo di fronte.

"Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo guardare le cose sempre da angolazioni diverse" 




domenica 13 maggio 2012

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.


"Che cos'è una madre? Una piccola fessura in un muro interminabile fatto di cemento e mattoni che copre l'orizzonte. Un bacio di sfuggita in una stanza buia.
Un'unica stella in un cielo di montagna. 
Uno strano calore attaccato alla tua pelle
ovunque ti trovi."
Sebbene non esista un giorno ufficiale in cui viene celebrata, la festa della mamma è comunque tradizionalmente festeggiata in ogni angolo del mondo.
Oggi festeggiamo tale evento che ha come obiettivo quello di celebrare l'amore e la gratitudine verso le mamme, per le mamme di tutto il mondo, per le mamme coraggiose che non abbandonano mai i propri figli e le proprie figlie.

Le origini della festa sono molto antiche: la festa della mamma è infatti legata al culto delle divinità della fertilità dei popoli che in tempi antichi erano soliti adorare differenti dèi. Tali celebrazioni venivano organizzate nel periodo dell’anno in cui avveniva il passaggio stagionale dal freddo inverno ai caldi primaverili o estivi, quando cioè la natura torna ad esaltare colori e profumi della terra, segni evidenti di prosperità e ricchezza. In America è stata introdotta, per la prima volta, nel maggio 1870 da Julia Ward Howe, attivista pacifista, che propose l'istituzione del Mother's Day, come momento di riflessione contro la guerra. La sua ufficializzazione arrivò nel 1914 con il presidente Woodrow Wilson, attraverso una delibera che fissò i festeggiamenti in occasione della seconda domenica di maggio.
In Italia la Festa della mamma è stata introdotta in Italia negli Anni Cinquanta da Raoul Zaccari, senatore e sindaco di Bordighera. Fu proprio nella città delle palme, al teatro Zeni fu celebrata, la seconda domenica di maggio del 1956, la primissima Festa della mamma italiana.
Questo giorno serve per ricordare l'importanza del ruolo sociale della mamma, e se è vero che "L’avvenire di un bambino è l’opera di sua madre" e che "Una buona madre vale cento maestri", allora il mio pensiero va a tutte coloro che aspettano un figlio, in particolare un figlio maschio. E' inutile dire che viviamo in una società che denigra la donne su più svariati aspetti: psicologicamente, fisicamente, intellettualmente. Cerchiamo mille soluzioni per ovviare al problema ma molto spesso non ci rendiamo conto che qualcosa potrà cambiare solo quando penseremo in maniera diversa il rapporto uomo-donna, nel modo in cui non solo la donna pensa se stessa (a volte vittima degli stereotipi che le sono stati imposti) ma soprattutto il modo in cui l'uomo pensa e vede la donna.
E' giunta l'ora di uscire da schemi ormai vecchi ma ancora profondamente ancorati nella mentalità di tutti noi. Questo potrà avvenire se tutti ci impegniamo seriamente, non solo noi donne ma anche e soprattutto gli uomini. E dunque auguri a tutte voi mamme, a chi lo è già e a chi vuole diventarlo, poiché avete il compito fondamentale di cambiare le sorti di questa società educando i vostri figli all'assoluto rispetto per l'altro.
Noi figlie/i facciamo in modo di apprezzare tutti i giorni dell'anno le donne che ci hanno messo al mondo, e combattiamo fino all'ultimo per un paese in cui le politiche sostengano davvero le donne che vogliono essere madri!


sabato 12 maggio 2012

Il rap contro il femminicidio

Il rapper cosentino Mirko Kiave, volto noto di Mtv, dedica una canzone e un video al tema del femminicidio. E' un brano ricco di impegno che nasce da una seria battaglia contro la violenza sulle donne, mosso dall'appello ''Mai più complici'' lanciato da "Se non ora quando", Loredana Lipperini e Lorella Zanardo.
Kiave, colpito dalla questione, ha pensato così di creare un brano apposito, intitolato “Il Termine Esatto" che è giunto subito all'attenzione del quotidiano "La Repubblica", che ha contribuito alla sua diffusione pubblicandolo subito sul proprio sito.

"Ho deciso di fare un pezzo perché firmare non basta - dice Kiave -  Questa battaglia culturale riguarda in primo piano noi uomini: dobbiamo esserci. Il rap serve anche per sensibilizzare e aprire le menti di chi ascolta''
E' un messaggio davvero significativo e positivo quello di Kiave, che deriva dalla profonda fiducia lui stesso nutre nei confronti del Rap vista come "un'arma destinata a cambiare le cose", e come possiamo dargli torto! Da sempre si sa che la musica è un potente mezzo di comunicazione che non serve solo per divertirsi, divertire ma è un fortissimo strumento educativo che se usato bene può davvero svegliare le coscienze e muovere verso il cambiamento. Come affermavano i greci  la musica rende più profonde le emozioni e costituisce un’educazione perfetta per l’anima.
E allora non posso che lasciarvi ascoltare il brano sperando che questo possa essere un utile fonte di riflessione per tutti/e.


Che razza di uomo sei? Dove sono gli uomini?
54 donne uccise solo nel 2012
numeri allarmanti mentre noi restiamo muti
davvero ci riteniamo evoluti
puoi chiamarli omicidi per gelosia omicidi sentimentali
fatti da uomini che non posso definire tali
sono animali veri e propri animali
la passione è un altra cosa quali delitti passionali
il termine giusto non è omicidio
se uccidi una donna è un femminicidio
e tu uomo che rispetti i tuoi simili in coro
non difendere le donne devi lottare con loro
non sei una guardia del corpo non sei Rambo
io non difendo le donne, combatto al loro fianco
quale sesso debole hanno forze sacre
neanche la natura può nulla contro una madre
la forza di continuare a sperare
la forza di continuare a lavorare anche da precarie
la forza dell'amore contro la forza bruta di chi stupra
di un animale che non sa parlare e ti vuole muta
che si sente forte e superiore
nel dare botte e dolore ad una prostituta
ma tu reagisci, il silenzio uccide
se non lo denunci è il male che sopravvive

Che razza di uomo sei??
che razza di uomo sei??


Il termine esatto è femminicidio
Il termine esatto è femminicidio
Il termine esatto è femminicidio

E la Tv non ha colpe? Certo che ce l'ha
guarda l'uso della donna dentro la pubblicità
inquadrature ginecologiche oggetti da supermarket
donne trattate come pezzi di carne
e gli assassini sono i fidanzati o i parenti
ma se una donna dice no meglio se ti arrendi
se la donna è vittima di uno stalker
è lo stalker che ha problemi non la donna che ha colpe
lasciatemi solo in una stanza un paio d'ore
con uno stupratore gli insegno cos'è il dolore
ma poi mi calmo e ragiono
che se combatti l'odio con l'odio vince comunque l'odio
io non vi perdono ma non meritate la mia rabbia
meritate di marcire da soli in una gabbia
e tu donna reagisci il silenzio uccide
se non li denunci è il male che sopravvive





martedì 8 maggio 2012

L’eccidio delle donne che lascia indifferenti


di Dacia Maraini, Corriere della sera, 8 maggio 2012

Non vorrei che per decidere se si tratti di femminicidio o meno, ci si perda in discussioni inutili, dividendoci come facciamo sempre, ciascuna arroccata nelle sue sicurezze. Non ha importanza che nome diamo a questo eccidio. L’importante è trovarsi d’accordo che si tratta di un massacro. E che cerchiamo di capire perché la coscienza sociale non ne sia turbata quanto dovrebbe. E perché si tenda a considerarlo un evento che riguarda solo il carnefice e la vittima, come se l’intero tessuto sociale non fosse ferito e colpito gravemente da questa carneficina. Apriamo il giornale con trepidazione ogni mattina, sapendo purtroppo che a giorni alterni, saremo messi di fronte alla notizia di una giovane donna che avendo detto no a suo marito, al suo fidanzato, al suo amante, è stata trucidata.
Ieri, oggi, domani. Troppe mani maschili si accaniscono contro le donne «amate», pronte a cacciare loro in corpo decine di coltellate o a strangolarle o a prenderle a forbiciate, per poi gettarle giù da un ponte, dentro un fosso, convinti che nessuno li scoprirà mai. Alla faccia dell’amore!
Sono bravissimi questi «amanti» poi a recitare la commedia: mostrano ai fotografi una faccia coperta di lacrime, si mettono a disposizione della polizia per cercare la donna sparita, abbracciano mamma e papà per consolarli della grave perdita. Spesso vengono creduti. Perché a recitare sono bravissimi. Dispongono di una doppia personalità. Si accaniscono sul povero corpo e poi lo piangono con un tale dolore che tutti proviamo pietà. Come è possibile, ci chiediamo, che menta con tanta spudoratezza?
Ma ormai i casi sono talmente frequenti che la polizia va subito a vedere gli alibi dei mariti e dei fidanzati perché quasi sempre è lì che si nasconde il colpevole. Poi vengono fuori le intercettazioni (esecrate dai maneggioni di ogni specie, ma benedette dal cittadino perché si tratta di prove concrete e immediate contro processi che durano lustri), vengono fuori gli esami del sangue, le immagini di qualche video di sorveglianza e scopriamo che sì, è proprio lui l’assassino. Quello che abbiamo visto in un’altra immagine, sorridente accanto all’amata, che ritroviamo fra i parenti, a volte con un bambino in braccio «che gli somiglia come una goccia d’acqua». Ormai sappiamo che, accanto ai tanti casi certi, perché finiti con la morte di lei, ci sono migliaia di casi che non vengono alla luce, di uomini che perseguitano ossessivamente le donne che dicono di amare, con minacce, inseguimenti, intimidazioni.
Nonostante la rabbia, faccio fatica a pensare che il mondo si sia popolato improvvisamente di assassini che anelano al sangue delle loro donne. Le spiegazioni sono tante, ma certo hanno a che vedere con il modo in cui la cultura di massa tratta le donne. Con l’incapacità di insegnare ai bambini ad avere rispetto per l’altro. L’idea arcaica che Io ti amo e quindi ti posseggo è ancora moneta corrente e costituisce la base di molti, troppi rapporti sentimentali. L’amore-possesso, quando è posto in discussione dal pensiero autonomo dell’amata, mette in crisi l’identità stessa dell’amante che per paura, si trasforma in mostro.


venerdì 4 maggio 2012

Eve Ensler e Molly Doyle contro la violenza sulle donne

Se non ora, quando? è il nome del movimento che da febbraio 2011 ha riempito le piazze italiane, con idee, iniziative, proposte per porre al centro dell'attenzione pubblica i problemi che affliggono noi donne a partire dal modello degradante e lesivo che di noi offrono i mass-media.
Ma questo nome fa anche riferimento all'edizione italiana di un libro di Eve Ensler insieme a Molly Doyle, pubblicato da Piemme, "contro la violenza e per la dignità delle donne".
Eve Ensler, di cui abbiamo già parlato in questo blog, è un nome noto in quanto si può definire una paladina dei diritti delle donne.
La sua notorietà deriva dall'opera scritta nel 1996 I monologhi della vagina  che ha conquistato un successo planetario, infatti è stata tradotta in 48 lingue e portata in scena a teatro in 120 Paesi.
Da qui è nata l’idea del V-Day, un movimento per fermare la violenza contro donne e bambine, che si autofinanzia con le rappresentazioni a scopo benefico de I monologhi della vagina.

Se non ora, quando? nasce dalla convinzione che noi donne siamo stufe di aspettare e vogliamo, sentiamo l'esigenza di lottare per ottenere libertà e rispetto. Non qualcosa da "donarci" per farci stare zitte, ma qualcosa che ci spetta di diritto!
Eve Ensler e Molly Doyle dirigono un coro di voci appassionate che diventa grido di libertà.
"Per dire che essere donna ancora oggi non è facile, perché si tende a negare che la violenza, nelle sue molteplici forme, esista. Questi racconti, toccanti, arrabbiati, emozionanti e a volte leggeri e poetici, ricordano che la dignità della donna è un bene che va tutelato e difeso da tutti. Per rendere il mondo migliore."

Riporto una storia tratta dal libro:

Primo bacio
di Mollie Doyle

Ero piccola. Sei anni.
Campo estivo con attività sportive: nuoto, calcio e non ricordo più quale fosse il terzo sport.
Ma so che ce n’era uno.
Passavamo da un’attività all’altra con la fonte imperlata di sudore.
Era il mio secondo giorno.
L’istruttore di calcio ci annunciò che avremmo giocato nella pista di hockey.
Saremmo stati più freschi.
Non c’era ghiaccio -
era un ovale di cemento con pareti bianche ammaccate dai dischi neri dell’hockey.
L’istruttore ci divise in due squadre.
Non era proprio calcio.
Solo un gruppo di bambini che correvano dietro a un pallone, urlando.
Verso la fine della della sessione giornaliera, caddi e mi sbucciai un ginocchio.
Il sangue mi colò sullo stinco.
Tutti smisero di giocare.
Il gigantesco lembo della mia pelle che penzolava da un blocco irregolare di cemento era meglio di un pallone di cuoio.
Un bambino sfidò una bambina a toccarlo.
L’istruttore spedì tutti gli altri in piscina e mi portò dall’ infermiera.
Ma lei non c’ era.
Così si occupo lui del mio ginocchio-acqua ossigenata,bende,cerotto-con una tale abilità che riuscivo persino a piegare il ginocchio senza che il cerotto tirasse sulla mia pelle.
Mi disse che avevo giocato bene e mi diede una pacca sulla spalla.
Lo ringraziai, e quando tornai a casa quel pomeriggio dissi a mia madre che amavo il calcio.
L’indomani l’istruttore disse al gruppo di disporsi in cerchio e mi invitò a raggiungerlo al centro.
Mi chiese come andasse il ginocchio.
Gli dissi che andava bene.
Mi chiese come intendessi ringraziarlo per avermi curato.
Risposi che non lo sapevo.
“Signorina” fece lui “non conosci la buona educazione? Che ne dici di un bacio?”
Gli dissi che baciare era disgustoso.
Lui rise e chiese agli altri se pensavano che meritasse un bacio.
Loro naturalmente esclamarono: “Sì!”
L’istruttore mi disse di stendermi.
Io scossi la testa e risposi che non volevo.
Lui ridacchiò divertito e mi spinse dolcemente sull’erba ingiallita dal sole finchè ci trovammo fianco a fianco in mezzo al gruppo come sardine in scatola.
Mi staccai rotolando.
Due bambini mi spinsero di nuovo verso di lui.
L’istruttore mi prese, avvicinò la mia testa alla sua e mi baciò.
Spingendomi a forza la lingua tra le labbra.
Io mi divincolai, soffocata. Fu orribile.
I bambini ridevano.
Io me la feci addosso.
L’istruttore avvampò, mi afferrò per un braccio, pinzandomi con il pollice e l’indice e mi trascinò a bordo campo.
Mi disse di tornare a casa.A prendere dei pannolini.
Io corsi a casa e dissi a mia madre che ODIAVO il campo estivo -
specialmente il calcio -
e che non ero nemmeno riuscita a trovare un bagno.
Il giorno dopo non volevo tornarci, ma mia madre insistette, promettendo che mi avrebbe mostrato dov’ erano i bagni.
Non le dissi perchè non mi piaceva il campo estivo – specialmente il calcio.
Una parte di me era troppo piccola per fidarsi del mio istinto:
per sapere che il bacio non faceva parte del gioco.
Ventinove anni dopo,torno a quel campo
e gioco con questo:
Che il primo bacio di mia figlia
che il primo bacio di tua figlia
che il primo bacio di ogni figlia
sia atteso e voluto.


mercoledì 2 maggio 2012

Perché bisogna chiamarlo Femminicidio

L'espressione Femminicidio è ormai ricorrente, la leggiamo nel blog, negli articoli di giornali, firmiamo petizione per combatterlo, ma sappiamo davvero cosa significa? E' importante sapere che questo termine ha un significato reale soprattutto per essere convinte che usarlo non è una esagerazione o fuori luogo.
Ecco perché è necessario che tutti leggiamo la definizione che ne da Barbara Spinelli.

"Il termine femminicidio non nasce per caso, né perché mediaticamente d’impatto, e tantomeno per ansia di precisione. 
Il termine “femicide” (in italiano “femmicidio” o “femicidio”) nacque per indicare gli omicidi della donna “in quanto donna”, ovvero gli omicidi basati sul genere, ovvero la maggior parte degli omicidi di donne e bambine. Non stiamo parlando soltanto degli omicidi di donne commessi da parte di partner o ex partner, stiamo parlando anche delle ragazze uccise dai padri perché rifiutano il matrimonio che viene loro imposto o il controllo ossessivo sulle loro vite, sulle loro scelte sessuali, e stiamo parlando pure delle donne uccise dall’AIDS, contratto dai partner sieropositivi che per anni hanno intrattenuto con loro rapporti non protetti tacendo la propria sieropositività, delle prostitute contagiate di AIDS o ammazzate dai clienti, delle giovani uccise perché lesbiche…Se vogliamo tornare indietro nel tempo, stiamo parlando anche di tutte le donne accusate di stregoneria e bruciate sul rogo. 
Cosa accomuna tutte queste donne? Secondo la criminologa statunitense Diana Russell , il fatto di essere state uccise “in quanto donne”. La loro colpa è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione (la donna obbediente, brava madre e moglie, la “Madonna”, o la donna sessualmente disponibile, “Eva” la tentatrice), di essersi prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, partner, compagno, amante ….Per la loro autodeterminazione, sono state punite con la morte.
Chi ha deciso la loro condanna a morte? Certo il singolo uomo che si è incaricato di punirle o controllarle e possederle nel solo modo che gli era possibile, uccidendole, ma anche la società non è esente da colpe. Diana Russell sostiene che:
<<tutte le società patriarcali hanno usato –e continuano a usare- il femminicidio come forma di punizione e controllo sociale sulle donne>>
Il femminicidio secondo Marcela Lagarde è un problema strutturale, che va aldilà degli omicidi delle donne, riguarda tutte le forme di discriminazione e violenza di genere che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà non soltanto fisicamente, ma anche nella loro dimensione psicologica, nella socialità, nella partecipazione alla vita pubblica. Pensiamo a quelle donne che subiscono per anni molestie sessuali sul lavoro, o violenza psicologica dal proprio compagno, e alla difficoltà, una volta trovata la forza di uscire da quelle situazioni, di ricostruirsi una vita, di riappropriarsi di sé."

Qui potete leggere l'articolo per intero.

Il termine Femminicidio è stato coniato da Diana Russell che, nel 1992, nel libro Femicide: The Politics of woman killing, attraverso l’utilizzo di questa nuova categoria criminologica, molto tempo prima di avere a disposizione le indagini statistiche che ci confermano ancora oggi questo dato, “nomina” la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna perché donna. La teoria di Diana Russell viene ripresa da numerose sociologhe antropologhe e criminologhe messicane per analizzare la strage delle donne di Ciudad Juarez, città al confine tra Messico e Stati Uniti, dove dal 1992 più di 4.500 giovani donne sono scomparse e più di 650 stuprate, torturate e poi uccise ed abbandonate ai margini del deserto, il tutto nel disinteresse delle Istituzioni, con complicità tra politica e forze dell’ordine corrotte e criminalità organizzata. La vicenda è stata narrata nel film Bordertown scritto e diretto da Gregory Nava, ed interpretato da Jennifer Lopez
A questo punto consiglio la lettura del libro della Spinelli: Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale in cui l'autrice documenta la nascita del termine Femminicidio.



Barbara Spinelli, praticante avvocato, collabora con i Giuristi Democratici a livello nazionale ed internazionale e con la Rete Femminista. Le sue ricerche riguardano soprattutto le politiche di contrasto alla violenza e alle discriminazioni di genere e il femminicidio nel mondo. Oltre a numerosi articoli per quotidiani e testate specialistiche, sul tema ha redatto per i Giuristi Democratici il dossier "Violenza sulle donne: parliamo di femminicidio. Spunti di riflessione per affrontare a livello globale il problema della violenza sulle donne con una prospettiva di genere".



martedì 1 maggio 2012

Lella Costa e la strage delle innocenti


Propongo il significativo e intenso monologo di Lella Costa all'Infedele del 30/04/2012 su La7, che ho trovato sul blog di Gad Lerner.
Durante il programma si è parlato di un argomento, purtroppo, tragicamente attuale qual'è il  Femminicidio.
Femminicidio è un termine che mette i brividi, perché fa paura pensare a tutte le donne che sono state uccise ingiustamente da chi sta loro accanto. Tuttavia, ritengo doveroso ricordare anche tutte le donne che non sono state uccise dai loro partner o ex partner ma anche, come afferma Barbara Spinelli, "dai padri perché rifiutano il matrimonio imposto o il controllo ossessivo sulle loro vite, sulle loro scelte sessuali, e stiamo parlando pure delle donne uccise dall’AIDS, contratto dai partner sieropositivi che per anni hanno intrattenuto con loro rapporti non protetti tacendo la propria sieropositività, delle prostitute contagiate di AIDS o ammazzate dai clienti, delle giovani uccise perché lesbiche".
Lella Costa ha "cantato" le donne e ha incitato gli uomini, quelli fra loro che non sono “carnefici”, ad essere i primi a denunciare tutti i comportamenti scorretti di cui sono testimoni perché il cambiamento potrà realizzarsi solo quando gli uomini comprenderanno che la donna non è un possedimento e/o un oggetto ma una persona con i suoi stessi diritti e che pertanto va rispettata. Credo sia davvero importante il messaggio dato dal monologo della Costa perché la vera arte può arrivare al cuore delle persone più di tanti articoli o servizi, e trovo anche rincuorante vedere che ci sono ancora programmi che non parlano solo di gossip. E' stato un vero esempio di informazione!